Il sedici aprile del 2014 le acque della Corea del Sud furono testimoni di una delle tragedie marine più disastrose che il paese asiatico abbia mai vissuto. Il traghetto Sewol affondò portandosi via quasi 300 vite in un evento che rimane tutt’ora una ferita aperta nella coscienza della nazione. La ventunesiama edizione del Far East Film Festival si è aperta ieri con la proiezione, in anteprima mondiale, di Birthday, film sud coreano diretto dalla regista Lee Jong-un che riflette proprio sul naufragio del traghetto, visto qui dalla prospettiva di due genitori che nella tragedia hanno perso il figlio.

Questa apertura è fortemente simbolica in quanto la manifestazione friulana, che si conluderà il 4 maggio, in questo modo si fa portarice di un sentimento che, pur guardando al futuro ed al lato pop e leggero della cinematografia estermo orientale per vocazione, non rinnega il passato e le ferite che hanno colpito ed ancora affliggono una zona dell’Asia sempre più complessa e fluida. Seguendo questa filosofia che vuole connettere e creare empatia e legami con un territorio così lontano ed il suo passato, “Via della Seta” è uno dei termini che caratterizza questa edizione del festival, l’evento friulano ha organizzato un’importante speciale dedicato al cinema coreano, che celebra quest’anno il suo centenario. 100 Years of Korean Cinema: I Choose Evil – Lawbreakers Under the Military Dictatorship è una retrospettiva di otto lungometraggi realizzati da autori coreani dal 1964 al 1990, periodo che storicamente corrisponde alla terza, quarta e quinta repubblica, quando la democrazia era solo nominalmente tale, con il potere di fatto in mano ai militari, interessante sarà (ri)scoprire come alcuni registi furono capaci di trovare e creare libertà artistica in un clima di censura culturale.

Naturalmente il Far East darà spazio, come ogni anno, ad un’ampia selezione di lavori provenienti da vari paesi dell’area estremo orientale, quest’anno le nazioni rappresentate sono dodici, mentre i film presentati in concorso saranno cinquantuno, su un totaole di settantasei. Oltre alla cinematografia coreana che sarà a Udine con ben 12 film, in primo piano ci saranno, come sempre più frequentemente accade in questi ultimi anni, alcuni lungometraggi provenienti dalla Cina. Non solo sarà presente a Udine Yao Chen, attrice popolarissima in patria che porterà al festival il thriller, Lost Found, ma la presenza cinese avrà quest’anno un taglio, in linea con quanto detto per la retrospettiva coreana, più critico verso la propria società rispetto agli anni scorsi. The Rib diretto da Zhang Mei, si confronta così con i problemi di accettazione di individui transgender da parte della società cinese, mentre Dying to Survive di Wen Muye nei toni di una commedia si ispira ad una storia realmente accaduta e porta sullo schermo le difficoltà per i pazienti che soffrono di un tipo di leucemia, di comprare le medicine necessarie alla guarigione.

Lo stesso Lost, Found pur essendo una grande produzione, è anche anche interessante riflessione sui diritti civili e sulla condizione della donna nella società cinese contemporanea. C’è spazio naturalmente anche per storie più personali e se vogliamo più minimaliste come Crossing the Border, seconda opera diretta da Huo Meng, dove il regsita racconta del lungo viaggio di un bambino e di suo nonno per andare a trovare un amico morente e confrontarsi quindi con temi e domande profonde ed esistenziali. La presenza di Anthony Wong che sarà a Udine per ritirare il prestigioso Gelso d’Oro alla carriera, riallaccia i fili con la storia del cinema di Hong Kong di cui Wong è uno degli esponenti principali, ma chiude anche un’ideale cerchio per il festival stesso che ebbe fra gli ospiti della sua primissima edizione nel 1999 proprio l’attore asiatico. Wong nel ricevere il riconoscimento sarà presente anche alla proiezione di due lungometraggi molto importanti per la sua carriera, My Name Ain’t Suzie di Angie Chan, il suo esordio nel 1985, e Still Human di Oliver Siu Kuen Chan.

Chi era presente lo scorso anno a Udine si ricorderà certamente dei lunghissimi e scroscianti minuti di appausi a One Cut of the Dead, film commedia-horror che in questi ultimi dodici mesi è letteralmente esploso al botteghino giapponese, diventando un vero e proprio fenomeno di costume, con tanto di spin-off, tanto che è tutt’ora in alcune sale dell’arcipelago. Forse non ci sarà un exploit del genere quest’anno a Udine, ma la compagine di film giapponesi sembre essere assai ben rappresentata. Sarà un’edizione speciale questa per il paese del Sol Levante, il festival infatti si svolgerà a cavallo fra due epoche storiche, Heisei, quella che sta volgendo al termine con l’abdicazione dell’attuale imperatore Akihito, e Reiwa, il nuovo periodo che comincerà ufficialmente il primo maggio.

Fra i nove lavori presentati nel capoluogo friulano spiccano senz’altro Dare to Stop Us, il biopic diretto da Kazuya Shiraishi che tratteggia, forse in modo un po’ troppo caricaturale ma comunque efficace, alcuni anni cruciali per Wakamatsu Koji e la sua Wakamatsu production. Un film che tocca, anche se solo in modo fuggevole, tematiche importanti nel rapporto fra arte e politica, come il ruolo della donna nei gruppi rivoluzionari o artistici a cavallo fra gli anni sessanta e settanta in Giappone. Da non perdere anche Ten Years Japan, da molti definito il migliore fra i vari omnibus derivati da Ten Years, il lavoro girato a Hong Kong nel 2015, film ad episodi con cui i registi immaginano il loro paese fra un decennio. Interessante anche Lying to Mom di Katsumi Nojiri che con uno stile a metà tra la commedia e il drammatico, racconta di come una famiglia reagisce al suicidio del giovane figlio, da sottolineare una strepitosa interpretazione di Ittoku Kishibe nel ruolo del padre.

Fra i quattro documentari presentati fuori competizione troviamo BNK48: Girls Don’t Cry, su un gruppo di pop idol tailandesi e Kampai! Sake Sisters che si focalizza su un grupppo di ragazze impegnate nell’indutria del sake, per molto tempo un settore escluso al gentil sesso. Una vecchia conoscenza di questo giornale, Pio d’Emilia, sarà a Udine quest’anno non come inviato ma come regista, fra i documentari al festival infatti ci sarà anche il suo Yi Dai Yi Lu – One Belt One Road sulla Nuova Via della Seta, il progetto di investimenti infrastrutturali lanciato dal governo cinese nel 2013 che collegherà la Cina al resto del mondo.

Con gli anni il Far East è diventato non solo un’occasione per appasionati ed esperti per vedere il meglio di quanto prodotto dal cinema popolare in Asia, ma anche un punto d’incontro privilegiato dove sviluppare idee e progetti cinematografici. Dal 30 aprile al 2 maggio in Focus Asia, il Project Market del festival, verranno così presentati 15 possibili titoli in cerca di finanziamento. Inoltre anche quest’anno come in ogni edizione recente del festival, gli eventi collaterali saranno molti, vale la pena evidenziare almeno la mostra “Lungo i bordi” del grande fumettista cinese Zuo Ma organizzata assieme alla casa editrice Canicola, mostra che inaugurata lo scorso 28 marzo al Museo Casa Cavazzini di Udine, un’altro modo per percorrere la Via della Seta, in questo caso attraverso le immagini su carta.