I guasti che ha prodotto Renzi, il suo modo di fare, ancor prima che la sua strategia politica, si possono misurare con mano in questi giorni, avvicinandosi i ballottaggi. Questi, per la loro stessa natura, offrono sempre una possibilità di scelta che appare scomoda e insoddisfacente, per tutti coloro che al primo turno avevano scelto un’altra opzione. Tuttavia, in condizioni normali, un elettore ragionevole è in grado di misurare la distanza che separa le proprie idee da quelle dei due candidati rimasti in corsa.

Questo sembra proprio non stia accadendo in questi giorni: in condizioni normali, per un elettore di sinistra, per quanto critico possa essere con il Pd, non dovrebbero esserci dubbi, posto di fronte alle alternative che si profilano nelle principali città italiane, ma anche in molti altri comuni. Sarebbe logico, comunque, votare per un esponente democratico, a fronte di alternative o apertamente di destra o ambiguamente “impolitiche”, come quelle incarnate dal M5S. Ma non è così: la scelta astensionista, o il dilemma tra l’astensione e il voto al M5S, sembra dividere apertamente quell’area di elettori che, al primo turno, avevano votato a sinistra.

E rischia di dividere pesantemente anche una forza politica in costruzione, come Sinistra Italiana.

Siamo di fronte ad uno dei frutti più avvelenati del renzismo. Ciò che ha ispirato Renzi, in questi anni, è una logica profondamente divisiva, anzi provocatoriamente divisiva: una logica da “terra bruciata”, tesa a delegittimare ogni possibile interlocutore alla propria sinistra, o che non appaia prono ai suoi voleri.

Ma gli effetti perversi che tutto ciò ha prodotto sono ora evidenti. Muovendo dalla pretesa e dalla presunzione di costruire il Pd come un partito “pigliatutto”, e onnivoro e autosufficiente, il Pd si ritrova senza un sistema di possibili alleanze, senza alcun potere di coalizione, isolato nella sua (peraltro declinante) forza elettorale, anche quando questa (e non è il più il caso di Roma, ad esempio) è ancora notevole.

I ballottaggi mettono a nudo, con crudezza, questa condizione di isolamento. Non solo, ma questa strategia ha finito per rivelarsi del tutto fallimentare anche da un altro punto di vista: la rincorsa all’anti-politica ha finito per legittimare la forza che dell’anti-politica fa la sua cifra dominante, ovvero il M5S, e per farne l’unico vero “antagonista”. E del resto, è chiaro: se scegli questa “narrazione”, ci sarà sempre qualcuno più “anti-politico” di te, e più credibile, da questo punto di vista.

Qualcuno si sta chiedendo come mai il M5S non sia stato minimamente scalfito da due anni di dosi massicce di populismo renziano? E come, anzi, – credo che analisi più approfondite lo dimostreranno – il M5S si stia radicando anche da un punto di vista territoriale, con una presenza diffusa anche nei centri urbani medio-piccoli?

Si spiega così il fenomeno a cui stiamo assistendo: un elettore di sinistra, normalmente sbeffeggiato, perché mai dovrebbe ora correre in soccorso dei candidati democratici in difficoltà? E’ legittimo il sospetto che, una volta acquisiti questi voti, Renzi li possa usare secondo il suo stile e i suoi modi. E che tutto continui come prima.

Tuttavia, qualche dubbio rimane, e un supplemento di riflessione appare auspicabile: questa reazione “istintiva”, del tutto comprensibile, alla fine produce qualcosa di buono, innanzi tutto per il governo di queste città (che rimane pur sempre la principale posta in gioco)? E poi, da un punto di vista politico, bisogna considerare un altro aspetto: il “colpo” a Renzi è stato già dato, e non sarà facile da riassorbire. Si è già creato un fatto politico incredibile, su cui pochi avrebbero scommesso qualcosa, ancora pochi mesi fa: ossia, Renzi è divenuto un “indesiderabile”, la sua presenza a fianco dei candidati sindaci giudicata contro-producente. Renzi sta cominciando a “normalizzarsi” (o sgonfiarsi): e quindi anche l’atteggiamento nei suoi confronti potrebbe anche uscire da una logica che, in definitiva, rischia di apparire subalterna: come se tutto dovesse essere valutato sempre e solo in funzione di quello che lui fa, dice o pensa di fare. Per questo, è possibile rivolgere agli elettori di sinistra un invito: città per città, sulla base di valutazioni necessariamente specifiche, non può essere considerata un’eresia il voto al candidato che esprime comunque un’opzione democratica. Forse, possiamo tornare a ragionare come si ragiona, normalmente, di fronte ad un ballottaggio: votare per chi, anche solo in parte, pensiamo possa essere un sindaco migliore.