Ieri il sindaco di Cerveteri Alessio Pascucci, coordinatore di «Italia in Comune» – il nuovo partito fondato dal sindaco di Parma, Pizzarotti – ha scritto una lettera al ministro dell’interno Salvini, alla sindaca di Roma Raggi e al prefetto della Capitale Basilone per invitarli a sgomberare, finalmente, la sede nazionale di CasaPound.
«Nella capitale esiste un elenco di immobili occupati stilato con la deliberazione n. 50 del 26 aprile 2016 dal prefetto Tronca. In tale deliberazione vengono individuati 16 immobili da sgomberare con assoluta priorità, fra i quali vi è anche il palazzo di via Napoleone III n. 8, occupato dal movimento CasaPound che ha trasformato tale immobile pubblico nella sede ufficiale del partito», scrive nella lettera Pascucci, in passato ai ferri corti con CasaPound per via del suo sostegno alla causa Lgbt.

Dalla deliberazione del prefetto Tronca sono passati due anni, CasaPound è ancora lì. La sede non passa inosservata per chi si trova a passare nelle vicinanze della stazione Termini: «L’ambasciata d’Italia nel quartiere più multietnico di Roma» la chiamano i «fascisti del terzo millennio». Per le dimensioni ricorda proprio un’ambasciata: si tratta di un palazzo di sei piani con ottima vista sul centro storico e con almeno una ventina di appartamenti, tra i quali le abitazioni di parenti dei massimi dirigenti del partito (la moglie del presidente Gianluca Iannone e il fratello del segretario Simone Di Stefano, ad esempio). All’ultimo piano si può trovare una grande sala per conferenze e presentazioni di libri.
Per tutte queste attività che si svolgono nella sua sede, CasaPound Italia non versa un centesimo alla proprietà statale. Una volta il palazzo apparteneva al Ministero dell’istruzione che dopo l’occupazione del 2003 aveva chiesto lo sgombero alla prefettura. Per poi fare marcia indietro l’anno successivo (ministra Moratti) riconsegnandolo all’Agenzia del demanio per «cessate esigenze istituzionali». Da allora, stando a un’inchiesta dell’Espresso del marzo scorso sull’occupazione dello stabile, c’è un ping pong tra il ministero e il demanio sulle rispettive responsabilità. La situazione poteva sbloccarsi durante la giunta Alemanno, nel 2009 il Demanio inserì il bene in un protocollo d’intesa con il Comune, preludio di una vendita al Campidoglio. L’allora opposizione di centrosinistra, temendo che il bene potesse essere lasciato dal sindaco Alemanno in comodato d’uso a CasaPound, riuscì a bloccare il contratto, lasciando però la situazione in stallo.

«Da sindaco voglio essere tranquillo che il ministro Salvini intenda far rispettare la legge ovunque venga infranta senza andare a colpire qua e là. Per questo ho inviato questa lettera e mi aspetto una risposta forte e decisa come quelle date finora su migranti e sui rom» scrive ancora nella sua lettera Pascucci. «Sarebbe un bel segnale di legalità se il ministro andasse in via Napoleone III e spiegasse che quel palazzo è del demanio e non può essere trasformato in sede politica», conclude il coordinatore di Italia in Comune, che venerdì ha sottoscritto a nome del partito il manifesto degli amministratori locali «inclusione per una società aperta».