La battaglia in difesa della Costituzione antifascista si avvale di argomenti fortissimi di natura giuridica e politica, e anche di ragioni per dir così caratteriali. Matteo Renzi si è rivelato (per molti confermato) una seria minaccia per il periclitante equilibrio dei poteri.

Un equilibrio già insidiato da oscene leggi elettorali, pessimi regolamenti e prassi parlamentari e altre improvvide modifiche costituzionali, oltre che dallo spirito di tempi antipolitici inclini a scorciatoie carismatico-plebiscitarie. Non senza un apparente paradosso. Difficilmente l’Uomo forte potrebbe oggi, soprattutto in un paese periferico, contrastare l’erosione della sovranità nazionale da parte di poteri sovranazionali, pubblici e privati. Ma proprio il sentore di questa incontrollata perdita nutre il bisogno di certezze e di vigore nella decisione politica che il complesso apparato delle democrazie costituzionali tende invece a frustrare.

GLI ARGOMENTI A FAVORE del No sono tutti essenziali e più che sufficienti – in linea di principio – a puntellare l’unica possibile scelta di ragione e di salute pubblica in occasione del referendum confermativo. Tant’è che resta in fondo misterioso nelle sue motivazioni l’atteggiamento di chi propende per il Sì. Non sembrano decidere, tra la massa dei favorevoli alla «riforma», considerazioni politiche (l’opzione per un centrosinistra sempre più disgregato e incoerente) né, tanto meno, valutazioni istituzionali, al di là dei frusti slogan governativi sulla semplificazione che spudoratamente ammiccano al qualunquismo diffuso. Anche in questo caso l’aspetto caratteriale sembra determinante.

Renzi è stato criticato da Napolitano per l’eccesso di personalizzazione della campagna referendaria ma non è certo che sia, questa, una critica fondata. La realtà è che tutti in Italia sentono che il referendum è sulla figura del presidente del Consiglio, e non c’è al riguardo contromisura che tenga. Le sorti del Sì (come peraltro quelle contrapposte) dipendono in larga misura da un fattore idiosincratico legato al personaggio. «Mi piace» (o «non mi piace») Renzi è la domanda che terrà banco il 4 dicembre.

E la ripresa del lessico dei social network è da considerarsi tutt’altro che casuale.

EPPURE PROPRIO a tal proposito si pone una questione che tende a sovvertire questa prospettiva, a svuotarla di senso. Una questione che, mentre drammatizza ulteriormente il referendum, pone in tutta evidenza i limiti di Renzi sul terreno decisivo della strategia politica.

RENZI È UN EGOCENTRICO, oltre che un politico sicuro di sé oltre il limite della supponenza. Molti suoi comportamenti sono tipici della personalità narcisistica e l’ultimo suo delirio – quello di un destino che lo porrebbe alla guida del Grande cambiamento – sembra tradire il manifestarsi di un Sé «grandioso e onnipotente». Tutto ciò si traduce in spavalderia e in temerarietà. Porta con sé il vantaggio di ritenersi all’altezza di ogni situazione, come quando Renzi presentò alle Camere il governo parlando a braccio, senza appunti, le mani in tasca nei blue jeans. Ma genera anche l’inconveniente non proprio trascurabile di non accorgersi di essere ridicoli, con una mimica da asilo infantile e un inglese maccheronico. Proprio un tale sentimento deficitario della realtà è forse alla radice di un altrimenti inspiegabile cortocircuito nella strategia politica renziana sottesa alla «riforma» e al referendum.

SI PUÒ DIRE, in due parole, che tra Italicum e modifiche costituzionali Renzi ha costruito una macchina da guerra che assicura o quasi la sua sconfitta, quale che sia l’esito del referendum di dicembre. Se, come speriamo, lo perderà, la sua stella uscirà per sempre appannata da un fallimento paragonabile a quello di Cameron sulla Brexit. Se disgraziatamente dovesse vincerlo, la sua sarebbe una vittoria di Pirro perché ad avvantaggiarsi della devastazione della Carta sarebbe con ogni probabilità il M5S, che già oggi diversi sondaggi danno primo partito in Italia e che in tale scenario potrebbe, per compensazione, incassare nuovi consensi in funzione antirenziana. Con la sua sconfinata brama di potere e il suo avventurismo narcisistico, Renzi insomma non rischia soltanto di minare le fondamenta della democrazia repubblicana. La sua oscena «riforma» minaccia seriamente di compromettere per lungo tempo le sorti del paese spianando la strada a un vero e proprio regime populista.