Non tutti sanno che esiste un Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato nel 1966 con una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e ratificato dall’Italia nel 1978.

L’art. 25 lett. a) del Patto dispone che «tutti i cittadini avranno il diritto e la possibilità, senza limitazioni irragionevoli (without unreasonable restrictions) di partecipare alla gestione degli affari pubblici direttamente o attraverso rappresentanti liberamente eletti».

Esiste altresì un Comitato per i diritti umani (Human Rights Committee), composto da esperti indipendenti che vigilano sull’attuazione del Patto da parte degli Stati aderenti. Nel novembre 2019 si è pronunciato su un ricorso dei radicali Mario Staderini e Michele De Lucia, presentato in occasione dei sei referendum lanciati nel 2013.

Nel ricorso si avanzavano censure sulla barocca complessità della raccolta delle firme, che oggi si potrebbe agevolmente superare, fino a giungere alla firma online (una apertura molto parziale a una semplificazione è bloccata in Senato).

Il Comitato ha ritenuto che la legge 352/1970 ponga al referendum abrogativo «unreasonable restrictions» ai sensi dell’art. 25 a) del Patto.

In particolare, ha chiesto all’Italia di semplificare e agevolare l’autentica e la raccolta delle firme da parte dei promotori, e di assicurare che la popolazione sia sufficientemente informata (sufficiently informed) delle procedure e della possibilità di partecipare. L’Italia deve modificare opportunamente la legge, comunicando alla Commissione come intende conformarsi alle richieste entro sei mesi. Il termine è in scadenza.

[do action=”citazione”]A quanto sappiamo, è una prima volta in assoluto.[/do]

Il principio desumibile è che per il Patto forme di democrazia diretta non sono obbligatorie per lo Stato, ma laddove siano previste se ne deve garantire l’effettività. La pronuncia guarda più direttamente alla fase della raccolta delle firme per l’iniziativa referendaria.

Ma il principio che se ne trae bene si applica a tutto il procedimento fino al voto.

Cosa varrebbe essere informati sulla possibilità di partecipare mettendo una firma, se poi rimanessero oscure ed ambigue le motivazioni del voto, magari per ostacoli posti all’informazione e alla campagna referendaria?

Inoltre, il principio è applicabile a tutti i referendum – ex art. 75 ed art. 138 – in cui egualmente si realizza una «partecipazione diretta» ai sensi dell’art. 25 a) del Patto.

Qui vediamo un nesso con i temi oggi in discussione.

La domanda è: la previsione di un election day che metta il referendum sul taglio dei parlamentari insieme alle elezioni regionali e locali è coerente con il principio che sul referendum ci sia una informazione adeguata? La risposta è no. Poiché è lo Stato che decide la coincidenza, si potrebbe bene ricadere nel concetto di unreasonable restrictions di cui all’art. 25 a) del Patto e alla pronuncia del Comitato.

Almeno due i punti rilevanti.

Il primo è la insopprimibile eterogeneità delle campagne elettorali, che hanno ad oggetto temi attinenti strettamente a realtà di territorio, per il voto regionale e locale, e un tema referendario che nulla ha a che fare con gli stessi territori.

Lo svolgimento simultaneo di due diverse campagne può solo generare confusione di messaggi e sovraccarico informativo in danno della chiarezza delle motivazioni necessaria per un voto consapevole.

Il secondo è lo squilibrio informativo che ne verrebbe tra i luoghi in cui si va anche al voto regionale e locale, e quelli invece in cui quel voto non è previsto.

Solo in questi ultimi sarebbe possibile svolgere una corretta campagna referendaria, tale da assicurare la adeguata informazione indispensabile per la partecipazione popolare diretta. E non sembra dubbio che una popolazione sia «sufficiently informed» se riceve una informazione egualmente adeguata in ogni sua parte.

Come chiedono comitati e associazioni, il voto referendario deve tenersi in una data comunque diversa da quella in cui si va alle urne per regioni e comuni.

Sappiamo bene che non pochi sono favorevoli a date diverse perché pensano che portare in simultanea la bandiera del taglio dei parlamentari darebbe a M5S un indebito vantaggio anche nel voto regionale e locale. Non è una motivazione di alto profilo. Ma capita che si faccia la cosa giusta per le ragioni sbagliate.