Intendiamoci: verificare, come sta facendo la giunta Marino a Roma nelle ultime settimane, che i fruitori di pubblici servizi siano effettivamente in possesso dei requisiti per goderne è un’attività doverosa, che dalle nostre parti viene trascurata fin troppo spesso e che quindi, quando viene svolta in modo efficace, deve essere salutata con favore, siano i destinatari di quelle verifiche persone rom e non.
Ragion per cui, se dai controlli del Comune di Roma viene fuori che qualche rom col conto in banca pieno di zeri occupa un posto nei cosiddetti “centri di accoglienza” senza averne diritto, invitarlo ad andarsene e a lasciare il posto ad altri appare ineccepibile.
Ciò premesso, è bene tenere presente che il fenomeno riguarda sì e no qualche decina di persone, a fronte di circa ottomila rom che vivono nei campi a Roma: ottomila persone che il conto con gli zeri non l’hanno mai avuto e che da quei campi, che con il concetto di accoglienza hanno pochissimo a che vedere se si eccettua il nome, non andrebbero sgomberati, ma portati via e condotti verso percorsi di inclusione abitativa e sociale.
Ecco, questa frenetica attività consistente nello smascherare una manciata di finti poveri dovrebbe essere considerata pressoché un dettaglio, rispetto al compito infinitamente più importante, e molto più impegnativo, di progettare un’esistenza dignitosa e offrire un futuro ai poveri veri: e la sensazione è che ci si dedichi a svolgere questa attività “di nicchia” con tanto zelo, e a comunicarne i risultati con tanta enfasi, come se si trattasse di un rimedio risolutivo a chissà quale problema, al solo scopo di distogliere l’attenzione dal fatto che sul resto, che poi rappresenta il grosso della questione rom, si continui a fare poco, per non dire niente.
Sappiamo bene che per chi governa certe tentazioni sono forti, quasi irresistibili. Sappiamo bene che è fin troppo comodo contare sulla punta delle dita gli sporadici casi che assecondano, alimentano e poi cavalcano i pregiudizi della gente (“altro che povertà, i rom sono tutti ricchi sfondati”), unirsi al coro gridando allo scandalo e infine attribuirsi il merito di mettere le cose a posto, piuttosto che farsi responsabilmente carico di tutti gli altri, la cui esistenza smentisce quei pregiudizi in modo drammaticamente inequivocabile se solo ci si sofferma a guardarla per quella che è.

Eppure farsene carico è necessario. Anzi, è ormai divenuto ineludibile, ora che le inchieste giudiziarie hanno portato alla luce non le piccole, e per molti versi miserabili truffe di pochi individui sparpagliati qua e là, ma il gigantesco business milionario che a Roma ha prosperato per anni sulla pelle dei rom, facendo perno, sul sistema incancrenito della cosiddetta “accoglienza” e costando ai romani decine di milioni di euro l’anno.

Quindi, per riassumere: ben vengano i controlli. Purché sia chiara una cosa: limitarsi a smascherare qualche decina di persone che barano sul conto in banca per occupare abusivamente un container non significa occuparsi seriamente della questione rom; perché occuparsene seriamente vorrebbe dire cercare di superarli tutti, quei container, insieme ai “campi” nei quali sono collocati, abbandonare l’approccio emergenziale e assistenzialista di questi anni e, come già hanno fatto con successo altri paesi europei, reinvestire nei in percorsi di inclusione le risorse che sino ad oggi sono state sperperate e utilizzate solamente per segregare ed escludere.
Si tratta di una questione complessa e delicata, che ha bisogno di interventi lungimiranti e graduali, e ogni giorno più urgenti. Noi di Radicali Roma, che abbiamo denunciato il sistema criminale di gestione dei campi e proposto al Sindaco Marino l’adozione di un piano di inclusione ancora prima dello scandalo di “Mafia Capitale”, ci prepariamo ad aprire una stagione di iniziative popolari proprio su questo tema: perché superare i campi non soltanto si può, ma, dopo aver preso atto dello scempio che rappresentano, si deve.
*segretario radicali Roma