«In Iran è costume popolare addossare all’Occidente le colpe di quanto non funziona. In questo periodo, in cui l’Iran è colpito dalle sanzioni internazionali che non consentono nemmeno di comprare farmaci contro il coronavirus, è tornata l’ossessione che vede ovunque complotti orditi da occidentali», spiega l’iranista Anna Vanzan, docente del corso Culture as Mediation a Ca’ Foscari: la cultura è strumento di mediazione e serve anche a decifrare il modo di pensare di un popolo.

«Questa sensazione di accerchiamento si ritrova nella letteratura persiana prerivoluzionaria, pensiamo al bestseller Mio zio Napoleone di Iraj Pezeshkzad che, seppur con un tono apparentemente leggero, ha una forte connotazione politica: quando questo romanzo viene dato alle stampe, nel 1973, l’Iran è nella morsa liberticida dello scià Muhammad Reza Pahlavi che ha inasprito il suo dominio dopo che, nel 1953, ha rischiato il trono a opera del premier Mossadeq che aveva tentato di nazionalizzare il petrolio iraniano. E sul trono, lo scià c’è tornato grazie a un colpo di stato organizzato dalla Cia e dai servizi segreti britannici. L’ossessione iraniana di vedere ovunque complotti orditi da occidentali ha quindi solide fondamenta storiche».

Mio zio Napoleone vende centinaia di migliaia di copie in una nazione che negli anni Settanta aveva circa 35 milioni di abitanti e una grande percentuale di analfabeti. Dopodiché, nel 1976 diventa la serie tv forse più popolare di sempre in Iran. Ora, è stata lei, la competente e appassionata Anna Vanzan – che nel 2017 aveva ricevuto dal Ministeroitaliano della Cultura (Mibact) il premio alla carriera per l’opera traduttiva e per la diffusione della cultura persiana in Italia – ad aver reso in lingua italiana le oltre cinquecento pagine del bestseller di Iraj Pezeshkzad (1928-). È ambientato a Teheran nei giorni che precedono l’invasione britannica dell’Iran nell’agosto 1941: pur essendo neutrale, durante la Seconda guerra mondiale viene invaso.

L’invasione dell’Iran da parte delle truppe britanniche ricorre anche in Suvashun (1969), il primo romanzo scritto da una donna iraniana. L’autrice di questo grandioso affresco dell’Iran è Simin Daneshvar (1921-2012), decana della letteratura persiana femminile. Se l’io narrante di Mio zio Napoleone è un ragazzino che scopre di essersi innamorato, in Suvashun l’io narrante è una nobildonna di Shiraz, dove gli occidentali spadroneggiano: «A cosa serve il termine pace se è basato sulla menzogna?», chiede Yusuf alla moglie Zari. E aggiunge: «Pensaci un attimo: quando ti pieghi, poi tutti vogliono spezzarti». Quando Yusuf viene ucciso, il porta-bara dice: «Signore, un giovane è stato ucciso ingiustamente. Noi onoriamo la sua morte». E un altro risponde: «Immaginate che qui siamo a Karbala e oggi sia il giorno di Ashura». Come nel romanzo, in questi giorni gli iraniani commemorano il loro martire, lo scienziato Fakhrizadeh facendo riferimento a Karbala e ad Ashura.

Questi due classici della letteratura persiana antecedente la Rivoluzione del 1979, entrambi tradotti in italiano da Anna Vanzan e dati alle stampe da Francesco Brioschi Editore, trasmettono un messaggio chiaro: dell’Occidente l’Iran non si può fidare e la Storia ne è testimone. Qualsiasi azione la leadership di Teheran intraprenda (anche dichiarare la propria neutralità), l’Iran corre il serio pericolo di essere assediato, attaccato. Si potrebbe obiettare che l’Iran è stato vittima di invasioni straniere al tempo della monarchia, mentre oggi è tutt’altra storia. Questa obiezione non sta però in piedi perché ai suoi albori, nel settembre del 1980, la Repubblica Islamica viene invasa dal dittatore iracheno Saddam Hussein, allora armato dagli Stati uniti, dall’Europa e anche dall’Urss, e sostenuto finanziariamente dai paesi arabi del Golfo persico.

A questo proposito, La guerra dimenticata. Il conflitto Iran-Iraq 1980-1988 è un saggio a più mani appena pubblicato dall’editore Passaggio al Bosco (Firenze, pp. 358, €25) a cura di Andrea Lombardi, appassionato di storia militare. Se per i popoli mediorientali quella è la prima guerra del Golfo, nel resto del mondo non lascia traccia. «La strategia degli Usa e dei suoi alleati era prolungare il conflitto affinché regnasse l’instabilità e – soprattutto – affinché i due contendenti si dissanguassero economicamente: scopo perfettamente riuscito», scrive Paolo Mauri nella prefazione. Di quel conflitto che vide contrapporsi per otto anni il regime di Saddam Hussein a quello degli Ayatollah durante gli anni Ottanta, Henry Kissinger pare abbia detto: «Peccato che non possano perdere entrambi». Leggendo la Storia, e i classici della letteratura persiana, difficilmente gli iraniani potranno avere fiducia nell’Occidente.