Il disarmo è avvenuto di fatto nell’ottobre 2011. Da quel momento in poi l’Eta, l’organizzazione separatista basca, ha scelto definitivamente la via della politica e non più quella dell’azione terroristica.

In questi giorni però tutto si è fatto ancora più concreto, il che giustifica il rilievo che la notizia ha avuto nei media di Spagna e Francia: l’Eta ha fatto ritrovare ieri in territorio francese un deposito con 3 tonnellate di esplosivo e 120 armi sofisticate.

L’atto simbolico deciso dall’Eta è di grande importanza e può davvero chiudere una stagione di lotta armata iniziata nel lontano 1959, in piena dittatura di Francisco Franco e in cui l’indipendentismo basco aveva una chiara connotazione antifascista e di sinistra.

Il prezzo pagato è stato di più di 800 morti e di centinaia di feriti in decine e decine di attentati: si è calcolato un totale di 3600 azioni terroristiche. Sono cifre da guerra civile. Lo scontro fatto di bombe e uccisioni è continuato pure nel periodo della riconquista della democrazia di fine anni Settanta, facendo diventare sempre più un pallido ricordo il mitico – per tecnica e obiettivi politici – attentato contro l’ammiraglio Carrero Blanco del 20 dicembre 1973 che decapitò il franchismo del proprio erede designato e ispirò il film Operazione Ogro di Gillo Pontecorvo con attore principale Gian Maria Volontè.

Una intransigente azione repressiva accompagnata da trattative più o meno occulte – le prime, più corpose, iniziarono con i governi guidati da Zapatero dopo il 2004 – e da una intelligente politica di investimenti economici nei Paesi baschi (oggi bellissimi musei sono disseminati in quel territorio, da Bilbao a San Sebastián facendone un polo di attrazione turistica) hanno sopito le velleità di separatismo strappando invidiabili margini di autonomia istituzionale e fiscale.

È mutato anche il clima culturale in cui è cresciuto il separatismo: la crisi economica spagnola ed europea ha infatti messo a dura prova l’idea dell’irredentismo basco.

Che ne sarebbe di una piccola nazione basca, formata da territorio francese e basco, economicamente dipendente da Madrid e Parigi? In Spagna è infatti attualmente un problema irrisolto e di grade attualità molto più il destino della ricca e sviluppata Catalogna (la parte più europeizzata della penisola iberica), che non rinuncia alla propria ispirazione separatista, mentre il caso basco è più facilmente addomesticabile nell’ipotesi di una riforma dello stato federale spagnolo, più volte annunciata e più volte rinviata.

La crisi dell’Europa politica può però far risorgere l’idea delle «piccole patrie», da qui la trattativa incessante e dall’esito incerto tra Madrid e Barcellona perché la Catalogna non si dichiari nazione indipendente con un atto unilaterale.

Il declino definitivo del terrorismo dell’Eta era iniziato con l’attentato all’aeroporto di Madrid del 30 dicembre 2006 che aveva colpito inspiegabilmente l’azione di mediazione del governo del socialista Zapatero (due le vittime, entrambe di nazionalità ecuadoriana), proprio colui che aveva scagionato l’Eta dall’accusa di essere responsabile del terribile attentato alla stazione ferroviaria di Atocha a Madrid nel 2004 che il governo di destra guidato da José Maria Aznar aveva cercato di attribuire al separatismo basco per non mettere sotto accusa il proprio interventismo militare nella guerra in Iraq a fianco degli Stati Uniti.

Dopo quell’attentato, probabilmente organizzato dai terroristi contrari al negoziato di pace, Zapatero era stato costretto a chiedere scusa in Parlamento agli spagnoli per l’ottimismo con cui aveva guardato al negoziato con l’Eta.

Si è dovuti ripartire a piccoli passi nel dialogo per riguadagnare il tempo perduto mentre nelle carceri spagnole sono tuttora detenuti 265 militanti separatisti baschi che si aggiungono ai 75 detenuti in Francia.

Per ora, il loro destino non fa parte ufficialmente del negoziato sull’addio alle armi. «Non ci sarà impunità», è la linea del governo centrista di unità nazionale di Rajoy appoggiato dalla benevola astensione dei socialisti.

Le organizzazioni politiche basche insistono tuttavia perché si continui a discutere e si allenti soprattutto la presenza di esercito e polizia sui Paesi baschi.

Senza le armi e senza terrorismo si discute meglio.