Inviare armi ai peshmerga curdi è «indispensabile», hanno detto il ministro degli Esteri Mogherini e il ministro della Difesa Pinotti, che ha specificato di che armi si tratterebbe. Indispensabile a che cosa? A questa domanda c’è una risposta, ma non è quella che il governo Renzi e le sue due ministre vorrebbero far credere, perché riguarda invece ciò che il governo Berlusconi ha fatto dal febbraio al maggio 2011 con una parte delle armi che ora si vorrebbero mandare in Siria.

Un primo punto è ovvio: quelle armi non sono affatto indispensabili per «fermare una minaccia che ci riguarda»: l’invio di quelle armi creerà una minaccia per l’Italia – oggi inesistente – dato che il Paese rientrerà a pie’ pari nel conflitto irakeno. Il comando dell’Isil si sentirà «autorizzato» (in termini bellici) a vedere l’Italia come parte attiva dello schieramento nemico e l’Eni di De Scalzi – che ora è coinvolta nell’Irak del sud con i giacimenti del bacino Zubair – come parte dei tavoli di trattativa sul controllo dei giacimenti del nord potenzialmente in mano curda se l’Isil verrà sconfitta.

Un secondo punto, altrettanto ovvio, è che sono stati i governi “occidentali” (servizi segreti francesi, inglesi e statunitensi, con l’aiuto di quelli turchi e l’appoggio finanziario di qualche potente paese arabo) ad armare per tre anni i militanti dell’Isil in Siria. Dunque, se è «indispensabile» fermare l’Isil, perché non ci pensano francesi, inglesi e statunitensi a fermarla con le loro truppe, invece di far morire over and over again degli irakeni al loro posto con le nostre armi?

Vi è poi la questione – secondaria apparentemente – di quale sia l’origine di parte delle armi da inviare. Perché gli invii potrebbero essere «indispensabili» per un’altra inconfessabile ragione.
Il ministro Pinotti ha fatto esplicito riferimento alle armi che viaggiavano su un cargo proveniente dall’Ucraina nel 1994 con destinazione il porto croato di Rijeka e i miliziani che combattevano in Bosnia, in violazione dell’embargo Onu. La nave era stata fermata in Adriatico come esito di una operazione congiunta dei servizi segreti ucraini, inglesi ed italiani e costretta ad ancorare prima a Brindisi e poi a Taranto dove i trecento containers di armi che portava rimasero parcheggiati per cinque anni e vennero poi portati ai depositi sotterranei della Maddalena. Nel 2001, un’incheista della Procura di Torino (Paolo Tamponi) e della Dia, non correlata al sequestro della Jadran, scoprirá tuttavia che le persone sotto accusa erano anche i “proprietari” di quello e di altri 19 carichi che avrebbero alimentato la guerra in Bosnia. A fine processo, nel 2006, i magistrati avevano ordinato la distruzione del carico della nave. L’ordine venne ignorato da ministri di centro-sinistra e di centro-destra. Un decreto legge ad hoc del 2009 – che avrebbe dovuto giustificare post factum la mancata distruzione e dare al governo la facoltà di appropriarsi di armi sottoposte a sequestro giudiziario – non venne mai trasformato in legge e decadde. La ritenzione di quell’arsenale era ed è del tutto illegale. Non solo. Quando l’Italia governata da Berlusconi (e l’Eni di Paolo Scaroni) si accorse che non era più possibile sostenere Gheddafi, la nostra Marina e i nostri servizi segreti si incaricarono – come rivelato per prima dalla Nuova Sardegna – di sottrarre parte di quell’arsenale ed inviarlo ai ribelli libici tra il febbraio e il maggio del 2011, in completa violazione dell’embargo Onu (26 febbraio 2011). Il panel dell’Onu incaricato di monitorare le violazioni di quell’embargo era poco fa in Italia per cercare di fare luce su quegli eventi oggetto anche di un’inchiesta della magistratura di Tempio Pausania che venne bloccata dal segreto di Stato apposto dal governo Berlusconi e mai più discusso dai successivi.

Sostanzialmente, con l’invio delle armi in Iraq scomparirebbe qualsiasi possibilità di capire cosa venne inviato in Libia illegalmente, cosa rimase e, soprattutto, salverebbe Berlusconi da più che imbarazzanti accuse di aver violato consciamente l’embargo Onu ed aver usato per questo, in aggiunta, parte delle 2.000 tonnellate di armi della Jadran illegalmente conservate dal governo italiano.