Ascolta ragazza del secolo scorso, in queste sere dure, qui, ci si chiede come fare perché la tua storia, che ha nutrito la nostra storia e la mia storia, non si chiuda qui.

Non ce la facciamo ad accettare questa scomparsa, non abbiamo capito abbastanza, non abbastanza discusso, meditato e riso (sulle lacrime che non escono , meglio tacere) e detto e ascoltato e scritto e non abbiamo tirato dalla tua tela abbastanza filo per continuare a tessere e ricamare e fabbricare quel che serve, per vivere e fare la nostra parte.
Di donne, dunque di umanità.

Ho cercato da sempre di prendere le misure del tuo saper parlare, della tua politica: misure spaziali – il mondo – e temporali, cioè storiche (e artistiche e musicali). Condividere le misure e poi, liberamente, ogni volta, prendere posizione.

Era bellissimo sai. Ma in queste sere della tua morte tutto quel che si è con-vissuto si scopre enorme e sembra franare addosso col peso, appunto, di un intero secolo – sulle sconfitte sei sempre stata implacabilmente chiara. E non si può permettere questo franare, questo ridurci in macerie.

Sarebbe, per giunta, un tradirti.
Perciò ascolta ancora per qualche minuto, prima di diventare sogno e battito del cuore: forse (forse) raccoglieremo i fili o i mattoni, le logiche e le vibrazioni dai ricordi e dalle tue pagine e con questi tuoi e miei e nostri materiali e altri ancora proveremo a costruire ancora mondo e libertà, uguaglianza e bellezza. Forse.
Una casa insomma. Simile alle tante case nelle quali ci hai sempre accolto, Rossana cara.