Uno schieramento trasversale voterà si no al referendum confermativo del taglio di un terzo dei parlamentari. Molte persone con cui chi scrive ha condiviso la battaglia contro l’abolizione del Senato.

Ma anche, esempio tra tanti, il renzianissimo sindaco di Bergamo, argomentano la conservazione degli attuali numeri, invocando il principio di rappresentanza democratica. Fa anche riflettere il fatto che quel taglio sarebbe già iscritto nella Costituzione se il buon Salvini non avesse mobilitato consigli regionali e senatori da lui controllati per sottoporlo a referendum, nella speranza d’imporre nuove elezioni in tempo utile a insediare se medesimo a Palazzo Chigi e un proprio adepto al Quirinale.

Ma lasciamo perdere strumentalità tattiche, inevitabili in ogni referendum, e riflettiamo sul merito delle argomentazioni, intese nel senso più alto, formulate dagli oppositori più qualificati del taglio.  Non vi è dubbio che, in questa fase storica, le stesse istituzioni democratiche sono sottoposte a dura prova, anche ove sono più consolidate. In un mondo duramente condizionato, se non governato, da un’ineguaglianza economica e sociale, inedita almeno dalla fine dell’Ottocento, l’attacco alla politica in quanto tale trova come naturali bersagli quei contropoteri rappresentati dal parlamento e dalla magistratura.

Su tutto ciò, nulla quaestio. Ancora una volta, la difesa della rappresentanza dei cittadini, delle prerogative e della separazione del Parlamento rispetto ad un esecutivo peraltro oggettivamente rafforzato dalla pandemia costituisce un impegno prioritario. Ma è vero che questi sacrosanti valori siano meglio custoditi dal numero attuale di parlamentari? Dallo spettacolo offerto in questi anni così non sembra.

Nella storia recente del parlamento italiano, il c.d. Porcellum ha aperto la strada ad una sequela di leggi elettorali – compresa quella vigente, imposta a colpi di voti di fiducia dal governo Gentiloni – che hanno, in larga parte, sostituito parlamentari eletti dal popolo con parlamentari non soltanto designati bensì nominati da gerarchie di partito che prescindono da ogni elettorato definito sul territorio, quando non reclutati alla rinfusa nel caso del M5S.

È questa la prima e principale carenza di rappresentatività democratica da perseguire e bene hanno fatto Pd e LeU a sollecitare in questo senso la maggioranza governativa di cui fanno parte, anche se si sono ben guardati dal formulare con chiarezza la fine del regime dei nominati. E’ quindi prioritario l’impegno per una legge elettorale democratica. Ma, se questo è vero, perché rinunciare a decurtarne il numero? Oltre tutto, di questi tempi, il risparmio che ne conseguirebbe, non costituisce un buon esempio per contrastare paradossalmente l’intento demagogico che lo ispira?

Come gioca, rispetto a questa priorità, che si realizzi con una provvidenziale legge proporzionale, o anche con un maggioritario corretto, tipo Mattarellum, la questione del numero di parlamentari? La prima, non trascurabile conseguenza del taglio è che esso renderebbe impossibile la sopravvivenza della legge elettorale nella sua forma attuale, costringendo il governo a mettervi mano. Coloro che osteggiano il taglio lo indicano come ulteriore, se non principale, causa di un difetto di rappresentanza largamente in atto.

Eppure, non è la dimensione del territorio di afferenza, bensì l’origine e la sindacabilità del mandato da parte dell’elettorato, a fare la differenza. I collegi elettorali della prima repubblica erano vasti, ma non al punto da far venir meno, salvo rare eccezioni, il radicamento del parlamentare eletto.

Si obietta che la riforma renderebbe, per numero, il parlamento italiano meno rappresentativo degli altri parlamenti occidentali. Non è così. Il Congresso degli Stati Uniti – insieme con quello italiano, unico parlamento occidentale ad articolarsi in due camere, con pieni poteri, elette a suffragio diretto – è composto da 435 deputati e 100 senatori. Il nostro parlamento, oggi, conta 630 deputati e 315 senatori. Il taglio li ridurrebbe ad un livello ancora di poco superiore a quel Congresso: 400 deputati e 200 senatori + 5 senatori a vita, in rappresentanza di una popolazione di poco inferiore a un sesto di quella statunitense.

Gli oppositori al taglio di solito ricorrono al confronto con le camere dei maggiori paesi europei per argomentare la non pletoricità del nostro attuale parlamento. In effetti l’Assemblee National francese è composta da 577 deputati e il Senato da ben 346 membri; il Bundestag tedesco da 709 deputati mentre il Bundesrat conta 69 membri; la Camera dei Comuni britannica 650 membri, quella dei Lord ben 825.

Ma le seconde camere di questi paesi hanno prerogative diversificate, comunque inferiori alle prime, e, soprattutto, non vengono elette a suffragio universale, diretto.

La dignità e il potere del Parlamento, oltre che dalla legge elettorale che lo esprime, dipende dalla sua funzionalità. Sfido chiunque abbia esperienza parlamentare a dimostrare che essa non sia inversamente proporzionale al numero di coloro che partecipano ai lavori (ovviamente nella salvaguardia della rappresentatività politica, non in discussione). E’ su questo terreno, oltre che sulla sua composizione qualitativa e quantitativa, che si giocherà il futuro dell’istituzione parlamentare non soltanto italiana.

Leggi la risposta del Comitato per il No

Proviamo a rispondere all’articolo del 25 luglio scorso di Gian Domenico Migone.

Innanzitutto, il referendum: indipendentemente da chi lo ha chiesto e perché, meno male che c’è. Almeno si parla di questa riforma, che era passata nel silenzio generale, pur essendo di rilievo costituzionale e per la quale -non scordiamolo – alcuni partiti hanno votato a favore alla quarta lettura, dopo aver votato per tre volte contro.

Rispetto alla riduzione (senza addentrarci nei, pur a nostro avviso importanti, “dettagli tecnici”), anche le premesse implicite non ci convincono. Migone si chiede: “Perché rinunciare a decurtarne il numero?”.

La questione va rovesciata. Perché la riduzione, invece?

Il problema è davvero oggi che abbiamo un numero di Parlamentari troppo elevato? Perché ci si ostina a individuare ricorrentemente nelle istituzioni democratiche volute dalla Costituzione l’origine di ogni male, screditandole ulteriormente? Il risparmio è comunque ridicolo e nemmeno i 5 Stelle lo usano più come spiegazione.

Allora? Per dare un segnale a un sentimento di sfiducia o più ormai diffuso fra cittadini e cittadine: “Sì, avete ragione, e per dimostrarlo ci togliamo di mezzo”? È paradossale. Il messaggio da dare non è questo. Dovrebbe essere piuttosto: “Dobbiamo fornirvi Parlamentari migliori, una buona politica e una buona legge elettorale. E, per favore, cercate di aiutarci anche voi con il vostro voto o la vostra protesta”.

Se la barca della democrazia parlamentare fa acqua, la responsabilità è di tutti. Con la riduzione, si finge di togliere acqua (per la pia illusione di chi ci crederà), ma non si chiudono le falle. Al contrario. Con le ghigliottine (o le forbici) non si arriva lontano.

Non se si vuole mantenere il senso, il principio, di una democrazia, per quanto imperfetta, come tutte.

Comitato per il No – Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Milano