Il manifesto sta ospitando un dibattito interessante sulla riforma della legge dei parchi (la 394 del 1991) attualmente in Senato. Ringrazio per l’ospitalità per offrire il punto di vista di Federparchi.

Molti affermano che con la riforma «i parchi non sono più luoghi dove si tutela la natura ed il paesaggio». Ribadisco che l’art. 1, che stabilisce a cosa servono le aree protette, non è stato modificato di una virgola. La nuova formulazione del “Piano del parco” impone valutazioni e programmazioni che riguardano la biodiversità e il patrimonio culturale e il piano deve contenere la «definizione degli obiettivi di conservazione dei valori naturali e culturali».

Oggi in Italia sono molte le specie che grazie al lavoro dei parchi sono tornate a popolare i nostri boschi e foreste italiane: Stambecco, Orso marsicano, Camoscio appenninico, Lupo; solo per citarne alcune. Un risultato ottenuto pur in assenza di quella Carta Natura di cui siamo in attesa da oltre 25 anni.

La legge re-introduce il piano triennale per le aree protette. Uno strumento fermo da più di venti anni e su cui si stanziano 30 milioni di euro, privilegiando i parchi regionali e le aeree marine protette, i soggetti più in difficoltà dal punto di vista economico.

Con i nuovi criteri di governance la “componente scientifica” viene ampliata. Si prevede che il rappresentante del mondo scientifico non sia designato solo da Ispra, ma possa esserlo anche da altre associazioni scientifiche (ad es. Unione zoologica italiana, società botanica ); scegliendo di volta in volta lo specialista migliore e più adatto a quella realtà. Allo stesso modo la presenza di rappresentanze di agricoltori o pescatori aiuterà lo sviluppo dell’economia sostenibile nelle aree del Parco (che restano suddivise in zone).

Sulle “royalties” l’unica novità è che le attività già esistenti (e solo quelle) oltre che continuare a pagare i canoni concessori allo Stato, dovranno anche pagare una quota ai parchi. E se non rispettano le norme che riguardano le emissioni, i reflui o quant’altro, saranno sanzionate.

Sul ruolo dei presidenti dei parchi, la 394 vigente non prevede nessuna prerogativa per farlo, dice soltanto che è «nominato dal Ministro dell’Ambiente d’intesa con il presidente della regione». E infatti in questi 26 anni, tra gli oltre 70 nominati abbiamo avuto di tutto: maestri sci, immobiliaristi, musicisti, sindaci ed ex sindaci, giornalisti, avvocati, medici, politici di professione, un biologo, un veterinario. Alcuni sono stati ottimi presidenti; altri pessimi, in modo abbastanza indipendente dalla categoria di appartenenza. Con la riforma invece il presidente dovrà essere in possesso «di comprovata esperienza in campo ambientale, nelle professioni, ovvero di indirizzo o di gestione in strutture pubbliche o private». E veniamo al direttore, anche qui la legge attuale non prevede nessuna caratteristica che deve avere, dice soltanto che è scelto all’interno di un albo presso il ministero dell’ambiente, al quale si accede tramite un concorso per titoli. E infatti, anche per i direttori val quanto detto per i presidenti. In questi 26 anni nell’albo abbiamo visto di tutto: laureati in psicologia, lettere, geografia, medicina, filosofia. La modifica invece introduce delle caratteristiche che il direttore deve avere.

È per questi motivi che la Federparchi, che rappresenta le aree protette italiane alla quale sono associati tutti i parchi nazionali italiani, oltre 100 dei 130 parchi regionali e la maggioranza delle aree marine protette, ha deciso di accompagnare e sostenere il processo di riforma. Così come hanno fatto Cai, Fai, Legambiente, Slow Food e Tci che hanno ribadito con chiarezza che non sono poche le novità positive introdotte dalla Camera al testo di riforma della 394.

*Presidente Federparchi