La domanda è perché gli israeliani agiscono in piena impunità e con il sostegno americano e europeo? Le risposte sono due.
La prima riguarda il ripudio del passato. L’israeliano si vergogna dello stato di minorità in cui per secoli sono vissuti i suoi antenati, dai ghetti ai progrom, sino al loro comportamento come vittime nei campi di sterminio nazista. Salva appena la rivolta del ghetto di Varsavia ma si chiede perché altrove non si sono ribellati, perché tanta passività. Profondo è il disprezzo per la loro acquiescenza cui lo Stato di Israele ha infine posto rimedio.

Per dimostrarlo serve un nemico da sconfiggere in guerra, un nemico da sottomettere, un nemico da umiliare, un nemico cui far subire quello che per secoli gli ebrei hanno subito. La vendetta – in corso dal 1948 con la Nakba, la cacciata degli arabo-palestinesi – si è abbattuta non sui tedeschi, sui polacchi, sui lituani, i francesi, gli olandesi, gli italiani, vale a dire sull’occidente raffinato che aveva «ingegnato» i campi di sterminio e le camere a gas, ma appunto sul più debole, sul palestinese che ha assunto la maschera greca del semita da perseguitare. Da parte loro gli eredi dei persecutori europei, con il capo coperto di cenere, consentono agli eredi delle vittime dei progom, il via libera alle persecuzioni contro il popolo semita che vive sulla medesima comune terra da migliaia di anni.

In Occidente il sostegno allo Stato di Israele unisce governi di destra e di sinistra, partiti e intellettuali – dopo il precedente della guerra del ’56 con l’attacco all’Egitto impegnato nella crisi di Suez – soprattutto dalla «guerra dei 6 giorni» del 1967, quando gli ebrei trasformatisi in guerrieri, acquisirono il titolo di entrare a far parte della comunità delle nazioni che dalla notte dei tempi si fanno guerra, l’un contro l’altra armate. E sulle armi il contributo israeliano è andato crescendo nel senso che negli istituti di ricerca ormai il maggiore interesse è alla messa a punto di mezzi di morte. Le armi nuove e mirabolanti, create e offerte, sono divenute la più recente testimonianza delle capacità del popolo che proclama di essere quello della Bibbia.

La seconda risposta sull’impunità di Israele dipende dalla leggenda – anch’essa antica – per cui gli ebrei sono così ricchi e potenti da orientare a favore dei propri privati interessi, i governi del mondo intero, compreso i paesi arabi con legami di affari con l’élite finanziaria cosmopolita.
Il caso più noto sono le 16 parole di una lettera del 1917 del ministro inglese Lord Balfour al banchiere Rothschild – che aveva partecipato a finanziare la costruzione del canale di Suez -, nella quale si prospettava la creazione di una “home” ebraica in terra di Palestina. Gli storici hanno fatto mille ipotesi sulle motivazioni di quella presa di posizione inglese e prevale la più prosaica. Data la convinzione diffusa sulla ricchezza e potenza della comunità ebraica, l’ipotesi più accreditata è che quelle 16 parole dovevano portare ad un aiuto finanziario nella lotta in corso per espellere l’impero ottomano dalla Palestina. Esistono molti altri casi che proverebbero l’influenza dell’élite finanziaria ebrea sull’élite politica europea e americana, e per ultimo si è aggiunto il ruolo degli oligarchi ebrei russi. Mancano all’appello la Cina e l’Iran. Si tratta però di leggende pericolose.

Ma quel che resta vero è l’inspiegabile quanto globale preoccupazione dei mass media per i civili di Tel Aviv, costretti nei rifugi per colpa dei razzi del terrorista Hamas mentre il conto dei civili palestinesi, uccisi dai missili israeliani, non ha la medesima attenzione? Intanto, sembra di capire, sono palestinesi di Hamas, e quando si tratta di donne e bambini, abitando a Gaza non possono che essere parenti di terroristi. Siamo alla punizione collettiva, dunque.

C’è una domanda, difficile da porre perché riguarda ebrei come Baruch Spinoza, Walter Benjamin, e Ghersom Sholem: se tornassero sulla terra come reagirebbero alla tragedia degli ebrei di Israele, assimilatisi agli altri popoli non appena hanno indossato l’uniforme del soldato, il vestito del politico e dismesso quello del filosofo, dell’artista, dello scienziato? La domanda mi tocca personalmente e la risposta è che si unirebbero tutti e tre alle proteste della diaspora palestinese nelle piazze europee e americane. Le manifestazioni sono contro l’attuale governo d’Israele, non hanno a che vedere con l’antisemitismo, non sono riferibili al fondamentalismo islamico, hanno come obiettivo il poter vivere con il medesimo status degli ebrei di Israele nella comune terra di Palestina.

Nella famosa lettera di Lord Balfour del 1917 era specificato che l’iniziativa sulla “home ebraica” non pregiudicava i diritti civili e religiosi delle comunità esistenti, già stanziate da secoli. Ecco, torniamo all’attualità. Prima Sharone poi Netanyahu, seminando odio, hanno fatto tutto il contrario.