In tanti sembrano pensare che, in tempi di Covid, la difesa dell’ambiente sia un lusso che non possiamo permetterci. Un milione di specie animali e vegetali, su un totale di circa l’8,7 milioni, sono minacciate da estinzione e sono sempre più numerosi gli ecosistemi distrutti, degradati o frammentati. Il 75% dell’ambiente terrestre e il 66% di quello marino è stato “gravemente modificato” e i dati dell’Iucn evidenziano come oltre un terzo degli habitat terrestri sia attualmente in pericolo.

Il ritmo di estinzione raggiunto fa ormai parlare gli scienziati di sesta grande estinzione di massa. C’è tutto questo dietro alla scelta di dedicare la Giornata Mondiale dell’Ambiente 2020, che ricorre come tradizione il 5 giugno, al declino della biodiversità. Un processo drammatico per la natura e per il pianeta come lo abbiamo conosciuto sinora, ma anche per la specie umana. Insieme a piante e animali che scompaiano, ai milioni di anni di evoluzione spazzati via, si riducono anche i servizi eco-sistemici: dall’acqua alla regolazione del clima, dalla fornitura di alimenti e materie prime a quella di aria pulita, passando per il controllo dell’erosione del suolo. E dunque sono a rischio anche la sicurezza alimentare e la prosperità delle nostre società.

Motivi che dovrebbero bastare per invertire la rotta, tutelare la biodiversità e convincere tutti della necessità di un modello di sviluppo sostenibile. Ai quali se ne aggiunge un altro: la nostra salute. Se la rottura degli equilibri naturali e la sottrazione di habitat rendono più probabili salti di specie e zoonosi, come ha dimostrato l’emergenza coronavirus, l’arma più efficace che abbiamo per proteggerci da nuove pandemie è proprio difendere l’ambiente. La cura per affrontare le crisi del nostro tempo – dai mutamenti climatici all’emergenza covid appunto – è dunque andare avanti spediti sulla via della conversione ecologica e di un ambizioso Green Deal. Una strada che l’Europa e la Commissione guidata dalla Von der Leyen hanno ormai imboccato. Penso al Next Generation Fund che mette a disposizione della ripresa 750 miliardi finanziati anche da tasse sulle grandi multinazionali, sul web, sulle emissioni e sulla plastica.

Quindi un piano senza precedenti per una crisi inedita, alimentato – se saremo bravi a presidiarne i momenti decisionali – anche seguendo criteri di equità e giustizia ambientale. Esattamente quanto noi ecologisti proponiamo da tempo per rendere le nostre società più giuste e per orientare le produzioni e i consumi verso la sostenibilità, accompagnando imprese e cittadini nel processo di conversione ecologica: i numeri ci dicono che già oggi l’economia sostenibile è parte importante della nostra economia reale. Unioncamere stima con Anpal 1,6 milioni di posti di lavoro in economia circolare nel nostro Paese e con Fondazione Symbola 3 milioni di green jobs.

Ma il potenziale è ancora più ampio: secondo la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile è possibile dare un forte impulso all’occupazione, attivando 190 miliardi di investimenti e creando circa 800.000 nuovi posti in cinque anni, affrontando con misure adeguate i settori efficienza energetica e rinnovabili, economia circolare, rigenerazione urbana e mobilità sostenibile. Ecco perché Green Deal e Next Generation Fund sono due occasioni da non farsi sfuggire. Tanto più che nel Recovery Plan la quota maggiore di sostegno spetterà all’Italia, che insieme alla Spagna è il Paese più esposto al crollo economico legato alla pandemia.

L’Europa ha capito che se si fosse ripetuto lo schema del 2008 questa volta i Paesi del Mediterraneo avrebbero fatto saltare il tavolo. Ora utilizziamo questo flusso ingente di fondi per stimolare una ripartenza green grazie a investimenti strategici e generativi, capaci di creare buona occupazione, tagliare le emissioni e funzionare da volano per lo sviluppo sostenibile. Come la creazione di una rete diffusa di produzione energetica rinnovabile, un grande piano per la rigenerazione urbana e la mobilità sostenibile nelle nostre città, un’infrastruttura digitale per farci superare il digital divide, gli impianti necessari a realizzare in tutto il Paese un corretto ciclo di gestione dei rifiuti. La base per l’economia circolare, una vera rivoluzione di cui abbiamo davvero bisogno.

*Ecologista, deputata Leu