Stanno cadendo, forse definitivamente, certo tragicamente, le quinte di una rappresentazione messa in scena vent’anni or sono e che voleva celebrare il connubio contro natura tra la guerra e l’aiuto umanitario. Il collasso, in pochi giorni, delle operazioni di istitutional building e peace bulding sul suolo afghano, si riflette drammaticamente in queste ore nei volti delle bambine e delle donne scomparse sotto il burka, rinchiuse dentro casa o in fuga verso una libertà che appare sempre più lontana dalle promesse ammannite a suon di miliardi di dollari dalla coalizione occidentale.

Con un forte richiamo a questa consapevolezza si apre l’appello al Presidente del Consiglio sul rispetto dei Diritti Umani e l’urgenza di una vera azione umanitaria in Afghanistan, lanciato da un significativo insieme di Ong italiane ed internazionali e da settori del mondo politico e sociale.

Squarciato dunque dal discorso del Presidente Biden il velo di ambiguità che ha voluto forzare un uso strumentale dell’aiuto umanitario, costringendo via via le Ong realmente indipendenti e neutrali a dichiarare la loro distanza da questa impossibile commistione, resta, presente e chiaro, la situazione della popolazione afgana, specie di quanti hanno collaborato con le forze di occupazione, ma anche dei vari intellettuali, associazioni della società civile, giornalisti, che hanno cercato una via verso i diritti umani e la democrazia partecipativa in quel Paese.

Il testo dell’appello, infatti, parte proprio dall’esigenza di far tesoro di questo tragico epilogo per avanzare richieste precise. In questo frangente, si legge, l’urgenza umanitaria, cioè quella di salvare persone che temono per la loro vita, riguarda in prima battuta chi potrebbe essere più esposto alle immediate rappresaglie dei fondamentalisti, e cioè, per il nostro Governo, chi ha lavorato con l’Italia e le loro famiglie.

È un dovere morale aiutare chi ci ha aiutato, si legge nell’appello, e il governo è impegnato a fare fronte a questa responsabilità. Ma lo sguardo va immediatamente allargato a quanti, nel breve periodo, possono essere visti come il nucleo culturale, ancor prima che politico, di una possibile opposizione: le minoranze e le voci libere della società civile, chi ha lavorato per un’Afghanistan diverso nelle scuole, nella sanità, nella società, nell’informazione.

L’attenzione del nostro Paese e dell’Europa verso l’Afghanistan, affermano ancora i firmatari dell’appello, non può essere condizionata dalla fine della presenza militare internazionale. Questo è un punto dirimente, il vero spartiacque tra l’idea di una cooperazione dal basso, che coinvolga e sostenga direttamente i beneficiari, e quella strumentale e propagandistica, finalizzata alla creazione del consenso.

Se l’esercito afghano equipaggiato con una spesa astronomica degli USA, oltre 87 miliardi di dollari, si è liquefatto come neve in un vulcano evidentemente per la mancanza di convinzione nel combattere per dei valori mai realmente assimilati, ebbene una riflessione anche su questo dovrebbe informare di sé i metodi ed i contenuti della prossima fase di aiuto.

Ma, adesso, è necessario che l’Italia e l’Europa si impegnino per una evacuazione immediata senza esclusioni, accogliendo subito tutti quelli che scappano dai talebani, inclusi chi ha lavorato con le organizzazioni internazionali. Naturalmente aumenteranno i rifugiati. In realtà alcune delle Ong firmatarie dell’appello lavorano con le comunità di ragazzi afghani già da molti anni, ma ora è tempo che l’Europa e l’Italia si preparino per una politica di corridoi umanitari, per accogliere con generosità chi nei prossimi mesi arriverà dall’Afghanistan via terra.

E qui si gioca, ancora una volta, il profilo del futuro comunitario: è oramai qualche tempo che sulle questioni dell’accoglienza, dell’esternalizzazione delle frontiere, sulla capacità o meno di costruire una Europa più inclusiva, si crea lo spartiacque vero che divide l’Europa fortezza, indifendibile se non al prezzo di una progressiva implosione identitaria e reazionaria, da quella Comunità aperta ed inclusiva, che cresce ancora sul trinomio Libertà, Fratellanza, Eguaglianza, nel confronto e nella fusione tra culture diverse, verso sintesi sempre vitali perché alimentata e forgiate dal fuoco della diversità, depurato dalle scorie deturpanti e mortificanti delle diseguaglianza.

* Portavoce CINI (Coordinamento Italiano Ngo Internazionali)