Un settore straordinario come quello dell’Afam (Alta formazione artistica, musicale e coreutica: Accademie di belle arti, Conservatori, Accademie nazionali di danza, Accademie nazionali di arte drammatica, Istituti superiori di studi musicali, Istituti superiori per le industrie artistiche) non è pienamente inserito nel sistema universitario italiano. All’orgoglio nazionale per il paese di arti e musica, si affianca una non meno nazionale vergogna.

NE SCRIVE Antonio Bisaccia, di colta e intensa militanza accademica, con il pamphlet Burocrazzismo e arte (presentazione di Tomaso Montanari, edito da Castelvecchi, pp. 136, euro 16,50). Per l’autore, docente di Teoria e metodo dei mass media, oggi direttore dell’Accademia di belle arti di Sassari e presidente della Conferenza dei direttori delle accademie, non c’è equiparazione al «sistema universitario» ma falsa cosmesi burocrazzistica, di forte retrogusto democristiano: solido, italico mandarinato non senza operosi mandanti.
Il testo, corrosivo, indica numerosi punti chiave: l’errata separazione fra culture umanistica e scientifica, che nella nostra «modernità» entra nel sistema della formazione nel solco della riforma gentiliana; la lesione del concetto di Universitas; le necessità finanziarie senza le quali tutto è precluso; la complessa realtà del corpo docente; il risparmio sull’istruzione pubblica (in particolare sull’Afam), una logica liberista incapace di andare oltre prime note e bilanci: il mal riconosciuto e sottopagato docente Afam (precario o di ruolo) è per i «burocrazzisti» figura a metà fra il parroco e il sottufficiale.

MANCASSE ALTRO, il coronavirus con rischi letali per vite e luoghi intrecciati di conoscenza, fare laboratoriale e creativo: non visti con la Dad, necessitano di urgentissimi finanziamenti ragionati per proteggerne in sicurezza la preziosa risorsa. La vicenda umana, ricorda Leroi-Gourhan, è sempre caratterizzata e qualificata da attività estetiche, loro cuore pulsante. Università(s) senza tali pulsazioni è contraddizione in termini, realtà monca, assenza di vita. «Mentre sulla ‘tutela’ di opere del passato si cerca di investire risorse – scrive Bisaccia – sulla formazione artistica non si investe e, anzi, si disinveste con disinvoltura, senza comprendere il danno che si sta procurando». Basti pensare al retroterra della cultura politica dominante, ancorata alla nascita ottocentesca del museo pubblico e della tutela: il passato a definire l’identità nazionale, un apposito inno; l’arte contemporanea mai davvero patrimonio culturale, identitario e nazionale condiviso. Il passato è sepolto: fa discutere, ma non preoccupa come un organismo vivo.
Negli ultimi decenni la dinamicità interna della formazione artistica ha rivoltato idea e ruolo di «belle arti» distorte e legate a cascami idealistici. Corsi un tempo ancelle delle sacre focali artistiche sono ora autonomi, innescando percorrenze come Arte e media, Didattica dell’arte, Cinematografia sperimentale, Restauro e altre ancora, con iscritti crescenti. Il testo è anche frutto di queste trasformazioni e accesi confronti dei quali ricordo, dialettiche vivacissime, battaglie e costruzioni comuni.
Ora si profila una speranza: oltre al giusto reclutamento dei docenti previsto da nuove leggi, finalmente emerge nel Palazzo una riflessione sistemica. Il ministro Manfredi sembra poter chiudere una vergogna culturale indicibile, cogliere e valorizzare un patrimonio di luoghi e menti creative. Sarebbe prezioso per il Paese, lungimirante per la politica. Curioso che i venti di guerra sul governo vengano dall’otre incautamente aperto di qualche responsabile della «Buona Scuola».

QUALE COLLOCAZIONE, con la piena equiparazione universitaria, per le istituzioni Afam? L’Universitas, per essere tale, deve includerle entro autonomi Dipartimenti di arti, musica e coreutica. Tomaso Montanari pensa piuttosto, nella sua presentazione, a un’autonomia parallela, preoccupato che la malattia degenerativa dell’università possa «suicidare» l’Afam: ma un’autonomia separata rischia di portare, di nuovo, all’equiparazione cosmetica denunciata da Bisaccia. Forse proprio la novità e il dinamismo delle istituzioni Afam potrebbe – nel riconoscimento non più rimandabile – ricomporre l’Universitas, vivificare il quadro e anche contrastare la tendenza degenerativa in atto. Si auspica che i sogni, disoccupate le strade, entrino in qualche palazzo.