È proprio difficile uscire dal Novecento. È stato veramente sorprendente leggere la contrapposizione tra mondo del lavoro e mondo dei diritti individuali e civili, espressa da Stefano Fassina nell’intervista rilasciata ieri all’Avvenire. Un salto in un passato che si pensava lasciato alle spalle, il richiamare in vita l’accesa discussione che risale almeno ai tempi delle leggi sul divorzio e l’aborto. Quando il Pci considerava questi temi pericolosissimi diritti individuali e borghesi, non prioritari rispetto alle lotte sociali e di massa.

Fa parte, o dovrebbe far parte, della formazione delle generazioni politiche post-sessantotto, una visione politica che non separa così nettamente diritti individuali e diritti sociali. Naturalmente il contesto è diverso, siamo nella piena contemporaneità delle nuove tecnologie riproduttive e delle nuove famiglie. Fassina, che è candidato sindaco a Roma della lista della sinistra unitaria, risponde alle domande del quotidiano della Cei a partire dalla questione della maternità surrogata, e della stepchild adoption. Temi complessi, difficili, in cui si muovono convinzioni e sensibilità molteplici, e diverse tra loro. La gestazione per altri, come le persone coinvolte a cominciare dalle donne preferiscono che venga chiamata, divide anzi spacca in modo trasversale, suscita emozioni anche violente.

È inevitabile, per una questione che attraversa le vite, e riguarda una questione cruciale come il modo in cui si viene al mondo, e la famiglia di cui ci si trova a far parte. Divide prima di tutto le femministe. In Italia come in altri paesi europei ci sono femministe che invocano un divieto universale della Gpa. Altre ragionano a partire dalla libertà delle donne, anche di essere gestanti per altri, se lo scelgono. In ogni caso, almeno per me, non è possibile considerare il proibizionismo una soluzione, neppure in questo caso. Dove c’è un divieto totale c’è la creazione di mondi paralleli, con un aumento e non una diminuzione di quello che si vuole evitare, ovvero dolore, sfruttamento, illegalità.

L’unica strada è guardare con i propri occhi. Occhi di donna, nel mio caso. Se non tutti i desideri possono aspirare a diventare diritti, vanno in ogni caso ascoltate e analizzate le domande che vengono da chi cerca di essere genitore, in modi che non appartengono alla tradizione, ma che hanno sicure radici nel desiderio umano di avere un futuro. In una gamma di sentimenti molto ampi, che fanno oscillare per tutti e tutte il desiderio di essere genitori, padri e madri, tra la massima generosità al più acuto narcisismo. È questo guardare con i miei occhi che mi ha spostato, oltre la brutale mercificazione dei corpi delle donne – in ogni caso non sempre e non dovunque -ora vedo anche relazioni e sentimenti su cui riflettere.

Vedo, nella Gpa, nelle famiglie arcobaleno, nelle coppie etero che scelgono questa strada, relazioni tra persone che forse non creano di per sé diritti da garantire, ma che in ogni caso non possono essere cancellate. Per questo mi lascia perplessa il tono netto delle risposte di Stefano Fassina, anche se ne apprezzo l’aspetto non prudente, non calcolato, che non tiene conto delle convenienze. Per questo gli chiedo perché si presta al gioco di definire cosa è di sinistra e cosa non lo è, e lo invito non a cambiare opinione, ma a discutere. A partire dalle proprie convinzioni. Scoprire che anche le risposte sicure, la certezza delle identità, come la contrapposizione tra individuale e collettivo fanno parte di un Novecento ormai passato potrebbe essere un’occasione, per tutta la sinistra.