La sconfitta storica delle forze democratiche di sinistra si riflette melanconicamente nella stagnazione che l’ha prodotta. La natura della stagnazione è psicologica prima di ogni altra cosa.

Si stenta a comprendere che, nel bene e nel male, sono le emozioni a informare la ragione su quanto accade e a fornirle i dati conoscitivi grezzi che poi essa deve affinare, gestire e elaborare. Quando la ragione «non sente ragioni» (il diritto delle emozioni), si rifugia nei propri principi logici (che dovrebbero esserle servitori e non padroni) e si allontana dalla realtà.

Si innamora della sua «razionalità» e quando non riesce a sedurre (ogni tanto il «pensare positivo» passa di moda), si consola con il senso di una superiorità morale che la isola ulteriormente.

Di fronte a una politica persa nei propri sogni ad occhi aperti, oscillante tra i buoni calcoli (la ragioneria come legge del vivere) e i buoni principi (le intenzioni come garanzia dei diritti), i leghisti hanno usato a modo di clava la paura dello straniero, una paura reale con un oggetto fittizio, cosa comune in tutte le forme d’angoscia.

Dal canto suo il M5S ha fatto uso di promesse rassicuranti sul presente per arginare la paura del futuro. Ciò lascerà a desiderare ma sul piano del tamponamento dell’ansia ha funzionato molto meglio delle promesse sul futuro che cercano di arginare la paura del presente.

Le conoscenze e la cura delle correnti emotive collettive è, dovrebbe essere, uno scopo fondamentale della politica che mira all’euzen, il «buon vivere», dei cittadini.

Il vivere bene non è l’eumeria, la «bella giornata», il gioire del piacere del semplice vivere senza complicazioni.

È un’esperienza complessa che ha il suo radicamento nella capacità di gustare la vita in profondità – distinguendo i «sapori» e gli «odori», affinando i sensi all’irriducibile particolarità dell’oggetto gustato- e nel pàthei màthos, l’apprendere attraverso il patire, il sapere che nasce dallo sperimentare, sostandovi, i risvolti imprevisti, sofferti, difficili dell’esistenza.

La destra ha da sempre usato le emozioni dei cittadini in modo strumentale a sostegno del suo modello disimpegnato del vivere, votato all’automatismo.

Nei periodi di grave crisi sociale è sufficiente rivolgersi agli aspetti impulsivi delle emozioni, il loro compattarsi in schemi universali impersonali e difensivi, per trasformare la confusione dei sentimenti in un’azione conformata e conformante che si realizza come scarica delle tensioni.

La sinistra ne esce travolta tutte le volte che non riesce a operare nella direzione opposta.

Il risanamento delle emozioni è la priorità assoluta dei nostri tempi.

Esso diventa possibile solo se si garantiscono tre condizioni.

Lo sviluppo del senso di responsabilità: il rispetto del desiderio dell’altro come condizione della permanenza del proprio.

La capacità di fare il lutto: elaborare il dolore della perdita attraverso una trasformazione di sé e della propria posizione nel mondo che, senza riportare indietro, come era prima, l’oggetto perduto, lo fa diventare il tramite di un rapporto più ampio e ricco con la vita.

La sospensione dell’effettività dell’azione: l’espandersi dell’agire umano oltre la concretezza della sua finalità, il suo mantenersi, contemporaneo al suo compimento, allo stato di potenzialità, dischiuso ad altri sviluppi che gli conferiscono spessore, sostanza.

L’ecologia delle emozioni non è un programma politico, ma le proposte per il presente che non mirano ad essa, non ne favoriscono le condizioni, smarriscono il legame con il futuro.

Questa non è un’opinione matematica, è una legge della vita.