«Venezia 1600» chiusa per pandemia a residenti e visitatori, ma non a una coppia di delfini infilatisi in Canal Grande. La comparsa di quei mammiferi acquatici, guizzanti fra Punta della Dogana e Ca’ Giustinian, è la gradita cartolina spedita da una Venezia vuota, celebrante in solitudine i 1600 anni (più presunti, che reali) di storia. «Venezia: la più antica città del futuro» è lo slogan lanciato dalle istituzioni locali per risollevare la città dall’attuale stato comatoso e tentare di proporla, con una forte carica di ottimismo, a capitale mondiale della sostenibilità: attraverso la riconversione ecologica delle aree industriali a Porto Marghera; il turismo da reinventare con una gestione equilibrata dei suoi flussi; il recupero della residenzialità nel centro storico spopolato, attirando giovani generazioni cui offrire opportunità nell’ambito dell’innovazione tecnologica; una politica ambientale in grado di far fronte ai problematici mutamenti climatici. Il morbo da coronavirus è un accidente troppo ghiotto per lasciarselo sfuggire; ovvero, essere pronti a cogliere gli aspetti favorevoli che in questo periodo di forzata stagnazione pure entrano in gioco: la riprogettazione anzitutto di un modello urbano compatibile alle esigenze di una città singolare (deteriorabile e pur resistente) qual è la Venezia di laguna.

L’avido sfruttamento, a partire dall’ultimo ventennio almeno, del marchio «Venezia» da parte dei suoi cittadini, ha fatto scadere la città a maschera grottesca di sé stessa. La quale dal Settecento in poi, consapevole della grazia (leggasi bellezza ed eleganza) che le è propria, ha interpretato compiaciuta il ruolo di primadonna. Una primadonna che più è andata avanti nei decenni e più è stata costretta a ricorrere al belletto. Tanto che, a forza d’imbellettarsi, è finita con l’apparire un artificio retorico. A uso e abuso delle masse turistiche invasive, grazie al permessivismo per ogni adito venduto loro a suon di «schei». Così come le sue peculiarità artigianali, per le quali andava celebre, barattate con il falso delle cineserie seriali disseminate senza ritegno e senza regola nell’autenticità di calli e campielli. Ce la faranno i novelli eroi (le autorità preposte, avallanti fin qui l’andazzo; ed enti vari in comunione) ad avviare un’inversione di tendenza, con l’aiuto del tempo pandemico che tutto blocca (idoneo alla riflessione), per restituire dignità a una città di remoto e glorioso lignaggio? «Venezia: la più antica città del futuro» è una frase che implica non poca immaginazione. Che stia per proiettarsi effettivamente nel futuro lo sapremo, d’ora in poi, dalla comparsa di speciali ospiti: i delfini, che scopriamo essere dei naturali sensori per le sorti di Venezia. Se tornano a guizzare in Canal Grande, qualcosa starà friggendo nelle acque della Serenissima.