Quando una crisi è sistemica, sindemica e sessista, si trascina da almeno vent’anni, colpisce ugualmente il pianeta e tutti i viventi senza potere o risorse, non si può affrontarla solo con iniezioni di denaro, o con delle «pezze verdi» su un sistema produttivo così predatorio da mettere a rischio, nel medio periodo, la propria stessa sostenibilità. Non si può arrivare dal decisore di turno, migliore o improvvisato, con una cartellina volonterosa, che suggerisce la specifica buona intenzione, senza preoccuparsi se sia o meno l’ennesima, virtuosa goccia che scompare in una voragine sempre più nera di sfruttamento, instabilità ambientale e violenza contro chi resta indietro.

Addensare massa critica e pensante, riappropriarsi quanto possibile degli spazi politici e pubblici con storie, lotte, corpi e facce disposte a giocarsi in prima persona, giovani e vecchie, precarie e preti, esperte e occupanti, padri, madri, imprenditori e solisti, la partita decisiva per una vita migliore per tutti: la Società della Cura è questo. Una comunità di persone, associazioni e territori che, da un pic-nic a Villa Pamphilj di reazione alla convocazione di alcuni, e l’esclusione di altre e altri alla costruzione istituzionale di una ripresa resiliente, si è raccolta e allargata, in un anno di confronti online, azioni dirette, e di pratica condivisa della sopravvivenza alla pandemia.

Il Recovery PlanET è un piano di proposte concrete messo insieme in tre mesi di lavoro da centinaia di teste e mani che animano questa esperienza con una cucitura meticolosa, in una prospettiva di genere, di vertenze e proposte, da Aosta a Catania, per l’economia, l’ambiente, il lavoro, la salute, l’agricoltura, la pace, i diritti, la prospettiva digitale. È una pratica partecipativa e democratica che domani si presenta con azioni simboliche in sicurezza in quasi 30 piazze d’Italia tra cui Montecitorio. Ha alcuni meriti: propone misure concrete, senza tecnicismi, all’interno di una visione di cambiamento di breve, medio e lungo periodo. Contiene proposte prioritarie e praticabili, ammesso che si sia davvero seri quando si dice che non si può uscire da questa crisi alle stesse condizioni in cui ci siamo entrati, perché sono loro la causa dei problemi in cui siamo immersi. Permette di partecipare con pari spazio organizzazioni grandi e piccole, nazionali e locali, ma anche persone singole, curiose, preoccupate, di tutte le età.

Le misure contenute nel Piano di ripresa e resilienza, aggiornato ma non troppo dal Governo in carica, vogliono stabilizzare il sistema e i rapporti di forza attuali, utilizzando le innovazioni tecnologiche e green per camuffare il business as usual: un dominio patriarcale, predatorio con la natura, diseguale fra le persone, di potere dei pochi sui molti. Anche Keynes rassicura ma non basta più: se lo Stato sociale non lascia spazio a uno Stato della Cura in cui sia centrale una dimensione orizzontale e di mutua responsabilità tra i diversi livelli di Governo e i viventi, non ci libereremo mai dalla considerazione residuale e accessoria che subordina l’assistenza, la sanità, persino la scuola e i livelli di reddito alla stabilità dei conti pubblici e alla capienza dei profitti privati. Se la politica istituita non vuole o non sa interporsi a questa accelerazione verso il baratro, chi cura e si cura non potrà non farlo: domani portando il Recovery Planet in tutta Italia, il 26 aprile tornando a Montecitorio, quando il Piano della restaurazione e della resistenza al cambiamento varcherà il Parlamento. Una ostinata, paziente, quotidiana presenza per includere e sostenere sempre più realtà e persone che vogliono, innanzitutto, essere il cambiamento di cui hanno bisogno.