Nel marx-engelsiano Manifesto del 1848 sono presenti due indicazioni per il futuro: la prima, nella sezione Borghesi e proletari, descrive un capitalismo a «immagine e somiglianza» del capitale, ossia descrive, con largo anticipo, il mondo oggi globalizzato, legato a una logica sorretta da un meccanismo di crescita finalizzato esclusivamente al profitto, allo sfruttamento e all’accumulazione illimitata; nella sezione intitolata Proletari e comunisti, Marx ed Engels prevedono che il processo prima indicato termini, a causa delle sue interne patologie o crisi e/o per l’intervento del soggetto collettivo costituito dal proletariato, rovesciandosi in qualcosa di totalmente diverso.

IN REALTÀ, per questa seconda indicazione, «…lo sviluppo del capitalismo è stata una ’continua crisi’, se così si può dire, cioè un rapidissimo movimento di elementi che si equilibravano e immunizzavano» (Gramsci): quindi, le crisi sono l’elemento che consente al capitalismo di sopravvivere e il soggetto antagonista, in questo quadro, sembra essersi quasi mimetizzato.
La prima indicazione di Marx ed Engels, invece, si è del tutto realizzata e si conferma quotidianamente. Che fare per resistere a quello che appare come lo strapotere del capitalismo che si realizza, oggi, anche nella crisi della democrazia, in un sempre più drammatico sfruttamento, nel degrado dell’ambiente, nel riproporsi di ideologie che fanno della superiorità dell’uno sull’altro e dell’uno sull’altra il proprio modo di essere, che, in ultimo, si realizza in forme sempre diverse ma sempre più disumane di subalternità?
Le domande se le pose Ettore Gelpi, il cui impegno come formatore nel trovare le risposte più adatte viene riproposto in un volume in cui sono raccolti diversi suoi testi (Globalizzazione, lavoro, formazione degli adulti. Scritti scelti, introduzione e cura di Edoardo Puglielli, Edizioni Conoscenza, pp. 191, euro 14; si tratta dell’ultimo volume pubblicato nella collana «Educatori di ieri e di oggi» della casa editrice).

NELLA SUA ARTICOLATA e documentata Introduzione, Puglielli indica gli snodi intorno a cui si sviluppa il discorso di Gelpi: globalizzazione («significa anche – scrive Gelpi – su scala planetaria, centinaia di milioni di disoccupati e decine di milioni di rifugiati»), lavoro, formazione degli adulti. È, però, l’ultimo paragrafo dell’Introduzione che fornisce il tema di discussione sulla ricerca di Gelpi: «Imparare a disimparare». Una pedagogia della resistenza. Scrive l’autore: «…il potere parla di modernizzazione, democratizzazione e razionalizzazione e impiegabilità. Gli interessi dei lavoratori sono, spesso, modernità, democrazia, razionalità, occupazione, che non sono la stessa cosa».
Fra le coppie di opposti usate da Gelpi, si prenda in considerazione modernizzazione-modernità. Con la prima il capitalismo intende la «cultura dell’impresa», il «management delle risorse umane», e, per fare un esempio legato al quotidiano di molte lavoratrici e lavoratori, l’alternanza scuola-lavoro; ma soprattutto, in ossequio ai meccanismi capitalistici di produzione, disoccupazione e precarietà.

LA MODERNITÀ è l’essenza stessa del pensiero critico che consente di conoscere il presente, che non rappresenta il migliore dei mondi possibili, «come prodotto storico» (Puglielli), consente di smascherare le ideologie da cui abbiamo imparato le narrazioni sulle «magnifiche sorti e progressive» della nostra epoca, spinge, recuperando l’indicazione marxiana sulla necessità della trasformazione del mondo, a imparare una pedagogia della resistenza che conduce all’«educazione cultura» che è il cuore del discorso di Gelpi.
Da un lato, quindi, la formazione intesa come momento pedagogico, dall’altro la formazione intesa, quasi gramscianamente, come somma di educazione ed istruzione. Questa presenza marx-gramsciana si manifesta lì dove Gelpi sostiene che «ciò che è in gioco nell’educazione degli adulti è tanto la trasformazione del mondo quanto lo sviluppo delle persone».
Pace, diritti, uguaglianza sono gli obiettivi della formazione degli adulti, e dei giovani, della presa di coscienza, da parte dei lavoratori, che, ormai, sul luogo di lavoro, vige una competizione che costituisce l’essenza della cultura del capitalismo: «L’individuale in tutte le sue dimensioni primeggia sul collettivo» (Gelpi). Resistere a questo processo è fondamentale, anche se, lo stesso Gelpi afferma con franchezza, «non fa parte di nessun programma di formazione».
Ma proprio a questo livello diventa centrale il ruolo dei sindacati. Meno strutture burocratiche, più vicinanza ai problemi dei lavoratori in un progetto politico-culturale di formazione e, nell’ottica di Gelpi, di trasformazione. Sembra che si sentano gli echi del richiamo a una sorta di via pedagogica al socialismo.