Per una grande riconciliazione con il mondo
Commenti

Per una grande riconciliazione con il mondo

Cosa accomuna il dramma della Marmolada alla guerra in Ucraina? La pace. Non sarà possibile debellare la guerra finché la nostra specie non «farà pace» col resto del mondo
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 6 luglio 2022

Una stessa esigenza, tanto essenziale quanto misconosciuta ed oscurata dalle contingenze, accomuna la tragedia della Marmolada e la guerra in Ucraina, la siccità dei fiumi italiani e le grandi alluvioni nel sud-est asiatico: la pace.
Ma di che pace stiamo parlando? Quella che fa tacere le armi e salva i civili o quella che alza gli argini per impedire le inondazioni e mettere a riparo dalla morte le popolazioni colpite? Questi due esempi di pace sono solo aspetti diversi di una stessa Grande Riconciliazione, quella che dobbiamo cercare tra il mondo dentro e quello fuori di noi. Non sarà possibile fare pace tra gli esseri umani sinché la nostra specie non avrà fatto pace col resto del mondo, con tutte le sue forme viventi e non. Questa visione, che potremmo chiamare di ecologia profonda, nasce dalla constatazione che il modello di sviluppo, o per meglio dire di crescita smisurata, che è la cifra sostanziale del nostro modo di vivere si genera da una rimozione di quello che dobbiamo considerar come il limite dei limiti: la nostra morte fisica. Se, infatti, pensiamo alle nostre maggiori aspirazioni, agli ideali che guidano le vite dei singolo, ci accorgiamo che i driver più potenti sono il sogno dell’eterna giovinezza e della ricchezza materiale, due sogni che hanno statuito la cultura Occidentale sin dai suoi inizi e che oggi si sono trasformati negli incubi che generiamo quotidianamente.

Come tutto questo si manifesta nella nostra relazione con l’ambiente è dunque facile da capire: noi lo aggrediamo non solo perché vediamo in esso solo un ammasso di materie prime potenziali, non l’albero che ci da l’ossigeno o addensa nella sua corteccia l’anidride carbonica ma solo il legno da trasformare in qualcosa di “utile”, non il ghiacciaio che tesaurizza per noi l’acqua ma solo una parte da scalare e conquistare, non l’animale che con la sua saggezza intuitiva guidava un tempo i passi dei suoi sodali umani ma un servo sul quale scaricare le nostre nevrosi o da ammazzare per la carne. Questa visione aggressiva e punitiva non nasce dunque solo dalla visione economicista che ci caratterizza, no, quella è solo la conseguenza; la causa è nella percezione, oscura e sempre più inconsapevole, che ogni volta che instauriamo una relazione di ascolto con il resto del vivente questo ci ricorda che siamo accomunati dallo stesso destino: è questo ciò che non vogliamo assolutamente vedere. In sintesi, per usare una immagine letteraria, la nostra civiltà è un enorme ritratto di Dorian Gray. Prima che l’Occidente nascesse, con la filosofia Greca, le civiltà antiche avevano un ritmo che ricalcava quello della Vita, con le stagioni dell’anno che corrispondevano a quelle della singola esistenza, la percezione di vivere in un tempo ciclico ipostatizzato dal moto dei pianeti.

L’umanità aveva un posto stabilito nel Cosmo e il Fato non era ciò che oggi consideriamo pura casualità ma l’Ordine stesso delle cose, quell’intima armonia che le lega tutte insieme e le “compagina” come dice Dante nella Commedia. Ecco che, a questo punto, è necessario ripartire da nuove pratiche e consapevolezze personali per arrivare a spostare le grandi masse: dalla competizione tra persone alla cooperazione, in un’ottica di solidarietà di specie, tra chi vive oggi e chi vivrà domani, e biosferica, tra tutte le forme del vivente. Si dirà che tutto questo è superiore alle nostre possibilità, che “la politica” deve intervenire; non è così. Quando chiudiamo il rubinetto dell’acqua stiamo facendo un’azione politica rivoluzionaria, stiamo esprimendo al tempo stesso la nostra volontà di fare la differenza nello spreco ma anche un nuovo rapporto con l’elemento della vita: l’acqua dentro di noi si pone in attitudine di ascolto e di rispetto per l’acqua fuori di noi, poiché sono la stessa acqua.

Questa è l’idea del Bene Comune: non avere un qualcosa in comune tra persone, ma capire che si ha qualcosa in comune con quel bene. Immaginiamo per un momento una vita orientata da questa semplice ma radicale consapevolezza, immaginiamo un nuovo totemismo, nel quale della nostra famiglia facciano parte non solo i congiunti e gli amici, ma anche le piante del nostro balcone, i fiumi da cui viene l’acqua che beviamo, gli uccelli che fanno il nido sotto il nostro tetto e poi espandiamo la visione. I pensieri degli uomini immortali si contorcono come i ramo delle querce millenarie dice un adagio indiano: facciamo pace col Mondo e la faremo anche tra di noi.

* Portavoce del CINI (Coordinamento Italiano NGO Internazionali)Fare pace con il mondo

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento