L’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica può essere considerata una spia della necessità di tornare alla normalità costituzionale, dopo tante forzature.

Nulla più di un segnale, poiché può essere solo il nuovo inquilino del Quirinale a dare il senso della propria presidenza, sin dal discorso «programmatico» che svolgerà tra poche ore, il 3 febbraio, al momento del giuramento, e poi nel corso della sua attività per i prossimi sette anni.

Ciononostante, sin d’ora, non possono essere trascurati tre dati: il significato della scelta di una persona estranea alla più convulsa fase politica dominata da continue disinvolture costituzionali; la fama di garante intransigente della legalità costituzionale del prescelto; il venir meno della opzione Nazareno.

Sino a pochi giorni addietro si stava seguendo una strada molto diversa nella scelta del capo dello stato. Si era alla ricerca di una personalità che garantisse i soggetti politici: il candidato del Nazareno, frutto dell’accordo tra Berlusconi e Renzi, ovvero, in alternativa a questo, una personalità che rassicurasse altre maggioranze possibili. S’era anche molto enfatizzata la necessità che il nuovo presidente fosse persona che potesse favorire i profondi processi di riforma costituzionale, istituzionale e sociale in corso. Nulla di più lontano dallo spirito della costituzione, che esclude un capo dello stato al servizio di una strategia politica ovvero fautore del cambiamento istituzionale.

Le stesse modalità adottate lasciavano assai perplessi. Quella sorta di consultazioni tra tutte le forze politiche svolte dal presidente del Consiglio presso la sede del partito di cui è segretario, che riceveva in rapida successione tutte le delegazioni dei partiti, riflettevano un’immagine sbagliata: evocavano la prassi della nomina dei governi. Con una confusione dei ruoli tra presidente del Consiglio e della Repubblica che rischiava di compromettere la stessa legittimazione della scelta del futuro presidente.

Per fortuna non è andata così. Mattarella non è uomo di garanzia per nessun leader e non è legato a nessuna formula politica; mentre le «consultazioni» dei gruppi parlamentari e delle forze politiche si sono rivelate sostanzialmente ininfluenti, puro spettacolo.

Non v’è dubbio che l’artefice della scelta sia stato Matteo Renzi. Il quale ha operato in base a valutazioni di natura strettamente politica e con modalità del tutto informali. Ognuno potrà valutare sul piano politico o etico il comportamento tenuto dal leader del Pd, quel che si vuole qui rilevare sono due particolari aspetti.

Se si ha in mente il sistema d’elezione del capo dello stato (un organo di garanzia che non viene scelto in base ad un programma, bensì intuitu personae) si comprende che da sempre è la capacità di creare un gradimento diffuso tra i grandi elettori l’arma vincente, non invece l’accordo tra leader. In fondo, la storia dei 101 sta li a dimostrarlo. Se ci si volge al più lontano passato si conferma che la regola aurea delle elezioni presidenziali sia stata costantemente quella del consenso ottenuto dalla più estesa maggioranza parlamentare possibile, al di là di ogni schieramento predefinito. In fondo, quando il presidente è stato eletto in prima battuta con le più elevate maggioranze previste in costituzione (nei casi di Cossiga e Ciampi) gli artefici del successo furono i due leader del partito di maggioranza relativa del tempo (rispettivamente De Mita e Veltroni), i quali operarono anch’essi in modo informale e in base alla logica del consenso diffuso.

Oggi è stato Matteo Renzi a farsi promotore dell’elezione del presidente. Un suo personale successo politico, non avrebbe senso negarlo. Quel che però deve anche esser detto – il secondo aspetto che si vuole rilevare – è che questo è stato reso possibile solo perché è stata scelta una personalità che non è parte del sistema politico e di potere del segretario del partito di maggioranza relativa, tantomeno della sua cerchia. Anche questo fa parte del gioco. Nei casi precedentemente richiamati, né Cossiga era demitiano, né Ciampi era veltroniano. Di più, una volta eletti, entrambi i presidenti hanno operato non certo per salvaguardare le politiche dei loro kingmaker, ma in rappresentanza dell’unità nazionale (tralasciamo qui l’anomalia dell’ultimo biennio di Cossiga, per non complicare il discorso). La rinuncia a proporre una personalità esclusivamente gradita alla propria parte si rivela, pertanto, come la condizione del successo, da ultimo anche per Renzi.

Mattarella dunque interpreterà il suo ruolo di capo dello stato in base ai propri sentimenti, alla sua sensibilità. Senza vincoli di mandato, né doveri di riconoscenza. Avrà un unico fondamentale obbligo: farsi garante della costituzione. Una costituzione spesso disinvoltamente disattesa dal sistema politico. Ed è per questo che oggi avremmo un gran bisogno di un custode riservato nei modi e intransigente nella sostanza.

Tra poche ore prenderà la parola di fronte al Parlamento. Auguri a noi. Auguri Presidente.