Per la prima volta dall’Unità, la questione meridionale è non solo un problema, ma un’opportunità nazionale.

La crisi determinata dalla pandemia mostra le fragilità del modello di sviluppo italiano, centrato sull’economia di un Nord di industrie e imprese «pesanti»; mentre il Sud è distante, il trasporto veloce su rotaia e la viabilità efficiente si fermano a Napoli; i trasporti marittimi latitano, internet è debole e limitato.

Eppure, come nelle drammatiche diffuse situazioni internazionali, proprio la Rete ha aiutato nell’assenza di contatti. Prima necessità, dunque: copertura dell’intero territorio italiano.

LA «MODERNIZZAZIONE della normalità» si nutre di energia da fonti fossili, espelle inquinanti, ha bisogno di degrado ambientale. La pandemia ha messo a nudo le fragilità del modello residenziale e lavorativo di agglomerati urbani ad alta intensità abitativa (e a bassa presenza di verde alberato) e centralizzazione delle attività. Le aree interne italiane si spopolano, si impone la cultura dominante delle metropoli. Non tutti la pensano più così. La tempesta pandemica, come osservato da Perna e Bevilacqua su questo giornale, ha fatto tornare al sud moltissimi giovani, che guardano a un nuovo futuro possibile, da sviluppare nella loro terra di origine, costruito su «sviluppo sostenibile ed economia circolare» e (in consonanza col ministro Provenzano) per un Sud rivolto ai giovani; connesso e inclusivo; compatibile con la svolta ecologica; frontiera dell’innovazione; aperto a Mediterraneo, Africa e Oriente.

L PIANO SUD 2030, scelta irreversibile per la transizione energetica, ecologica e lo sviluppo nazionale rigorosamente sostenibile, abbracci cultura, formazione, ricerca, agricoltura, ambiente e natura, turismo, industrie. E’ così che possono fiorire anche nuovi posti di lavoro.
Fondamentale sarà la scelta energetica: più energie rinnovabili e vettori energetici puliti (idrogeno ed elettricità verde, su tutto); ma insieme, come indicato dall’International Energy Agency, all’efficientamento energetico diffuso, capillare.

FIN DALL’INIZIO è necessario il concorso diretto delle comunità interessate (urbane e rurali), come indicano Green Deal e Scienza della sostenibilità.

L’esperienza, ormai paradigmatica, della San Francisco degli anni 2000, è un esempio virtuoso e di successo.

Lo Stato attui le riforme e riconquisti i territori condizionati dalla illegalità, creando lavoro, favorendo crediti agevolati, per la costruzione e il perseguimento di vite dignitose e libere da ricatti; riformi strutture e personale amministrativo, con semplificazione e digitalizzazione.

Realizzi le reti dei collegamenti (viari, ferroviari, marittimi (e aerei), e informatici); attrezzi i porti meridionali per gli scambi verso Africa e Asia, fino alla Cina.

Promuova la ricerca e incentivi il trasferimento tecnologico, con start up che rivitalizzino il ruolo delle Università del Sud, dei Centri di ricerca, del Cnr e dell’Enea.

IL SISTEMA SANITARIO pubblico va rinforzato con rinnovate dotazioni tecnologiche, contratti di lavoro che favoriscano anche il ritorno di personale sanitario fuori sede, l’attivazione di un sistema di prevenzione e cura centrato sul territorio, grazie a nuova telemedicina e medicina di prossimità.

COME DIMOSTRATO a San Giorgio a Cremano, il Sud può diventare frontiera dell’innovazione, con il sostegno a startup e a Pmi, promuovendo l’informatica nel comparto energetico, in agricoltura, industria e impresa agricola e culinaria, beni culturali e innovazione tecnologica tout court. Occorre promuovere le cooperative, per abbattere i costi di servizi e investimenti su macchine agricole, trasporto, distribuzione, conservazione, ampliamento dell’offerta e riduzione degli sprechi.

Non solo in agricoltura, ma anche nel turismo e nelle Pmi. Così il Sud diventerà coerente cantiere, modello e motore di sviluppo per l’Italia tutta, grande, bella. Occorre sostenere Comuni medi e piccoli, con l’offerta di una nuova dimensione residenziale e lavorativa che favorisca la natalità e il mantenimento degli anziani -quando possibile- all’interno di un contesto familiare, sostenuto dall’assistenza pubblica.

ATTUARE una politica abitativa per cittadini, anche svantaggiati e per chiunque intenda trasferirsi al Sud, anche stranieri in fuga da ogni genere di pericolo. Si pensi a un grande piano-casa per assegnare case abbandonate «quasi gratis», con disponibilità di crediti iper-agevolati per le ristrutturazioni – legati alle prospettive, non al reddito disponibile presente – e per il sostegno alle cooperative. Può aiutare l’estensione di esperienze di organismi immobiliari consortili, garantiti (e sorvegliati) dallo Stato (una esperienza virtuosa si è avuta nel porto di Piombino). Stimolare la creazione di alberghi diffusi. Le ristrutturazioni e le manutenzioni creano occupazione stabile.

COME GIUSTAMENTE auspica il Ministro, è imperativo assicurare l’effettiva libertà di scelta per quelli che sono tornati: rimanere o re-emigrare? Ciò richiede grande visibilità (e consenso) del Piano e rapidità d’azione, se si vuole essere conseguenti, e dare elementi misurabili e tangibili. C’è una ingente disponibilità di finanziamenti europei; con questi si cominci prestissimo a: per un biennio attivare i lavori pubblici tramite procedure eccezionali come quelle per la ricostruzione del ponte di Genova; con le Università, supportare enti locali e piccole imprese nella partecipazione a bandi regionali, nazionali ed europei; avviare bonifiche e ripristini ambientali ed idrogeologici; curare la riforestazione. Si cominci subito, con massima visibilità e senza paura.

* Direttore del CIRPS (Centro interuniversitario per lo sviluppo sostenibile)