Era il 1928 quando il Mahatma Gandhi ebbe una di quelle intuizioni che avrebbero esteso l’influenza del suo pensiero fin nel ventunesimo secolo. In un editoriale per Young India la voce del movimento indipendentista indiano, scrisse: «Dio non vuole che l’India reclami un’industrializzazione che segue il modello occidentale.

L’Imperialismo economico di una sola minuscola isola-regno (l’Inghilterra) oggi tiene in catene il mondo. Se un’intera nazione con trecento milioni di abitanti ambisse a un simile sfruttamento, il mondo sarebbe divorato come dalla piaga delle cavallette».

Quasi ottant’anni dopo questa constatazione non ha perso valore. Anzi, ha acquisito maggior peso perché ormai non sono più trecento milioni ma un miliardo le persone che si accingono a imitare l’Inghilterra. Gandhi intuiva che la dignità dell’India, come quella della Cina o dell’Indonesia non poteva essere riconquistata imitando il livello economico degli inglesi.

Il tentativo di raggiungere la Gran Bretagna avrebbe comportato un’estensione dello sfruttamento coloniale tanto vasta da coinvolgere anche il fondamento della vita sul pianeta.

Il testo che riporta il pensiero di Gandhi è Per un futuro equo. Conflitti sulle risorse e giustizia globale, edito da Feltrinelli nel 2007.

Si tratta di un report del Wuppertal Institut a cura di Wolfgang Sachs e Tilman Santarius