La Corte suprema ha regalato una vittoria importante a Donald Trump, concedendogli di usare i fondi del Pentagono, circa 2,5 miliardi di dollari, per la costruzione di 160,9 chilometri di muro al confine con il Messico, anche se la battaglia aperta nei vari tribunali americani continua.

A essere contrari al via libera sono stati i quattro giudici liberal, ma la maggioranza dell’organo legislativo è ora in mano ai conservatori con ben due giudici nominati da Trump: hanno ribaltato la decisione della Corte d’Appello del Nono Circuito della California, che si era schierata con il Sierra Club e una coalizione di comunità al confine, nel definire illegale l’appropriazione di fondi dal Dipartimento della Difesa per la costruzione del muro. Trump non ha accolto sobriamente la notizia: ha immediatamente twittato «Wow! Una grande vittoria sul muro e per la sicurezza al confine».

Per mantenere la sua promessa elettorale il tycoon lo scorso febbraio aveva dichiarato l’emergenza nazionale al confine con il Messico, dopo due mesi di battaglia con il Congresso che si erano tradotti nello shutdown più lungo della storia americana.

Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza The Donald aveva rivendicato il potere di usare fondi di altre agenzie governative per costruire il muro. A questo annuncio aveva subito fatto seguito una battaglia legale guidata dall’American Civil Liberties Union, dal Sierra Club e dalla Southern Border Communities Coalition.

E qua c’è un punto cruciale. La Corte suprema ha dato ragione all’amministrazione ma la decisione non è un totale via libera per Trump: nella sentenza si dice che i querelanti «non hanno diritto legale» a far rispettare decisioni di budget votate dall’amministrazione. Vuol dire che se la causa fosse stata intentata dai Stati o proprio dalla Camera e non da gruppi di cittadini l’esito sarebbe potuto essere diverso.

Dopo la sentenza Xavier Becerra, attorney general della California, ha voluto ricordare che è tuttora in corso un altro scontro legale sempre al Nono Circuito delle Corti d’Appello, dove venti Stati chiedono la sospensione della costruzione del muro. «La battaglia non è finita, abbiamo ancora molto per cui combattere – ha affermato Bacerra – Le nostre istituzioni democratiche e i principi al cuore della nostra Costituzione dipendono da essa».

Di certo a oggi quella della Corte suprema è una mossa che corrobora Trump e non i democratici e che ha portato la speaker della Camera Nancy Pelosi a twittare: «La decisione di stasera della Corte suprema di consentire a Trump di rubare i fondi dell’esercito e spenderli in un inutile e inefficace muro, contro il parere del Congresso, è profondamente errata. I nostri fondatori hanno disegnato una democrazia governata dal popolo, non una monarchia». Sull’immigrazione Trump ha basato tutta la sua linea politica e le sue battaglie.

Nella stessa giornata, oltre a questa vittoria, ne ha portata a casa un’altra: l’accordo strappato al Guatemala che obbligherà la maggioranza dei migranti in arrivo da Honduras ed El Salvador e che attraversano il Paese centroamericano a chiedere asilo lì, anziché al confine tra Stati uniti e Messico.

Il governo del Guatemala ha spiegato di non aver avuto scelta: firmando questo accordo ha potuto evitare le sanzioni economiche minacciate da Trump e che avrebbero messo in ginocchio il Paese.

Il tycoon aveva infatti minacciato tasse sulle esportazioni del Guatemala e tasse sulle rimesse dei migranti; ora, in cambio, gli Usa concederanno al governo guatemalteco di espandere un programma per consentire ai suoi contadini di lavorare legalmente nelle aziende agricole statunitensi e in futuro queste facilitazioni riguarderanno anche i lavoratori che si occupano di edilizia e di servizi.

Gli Usa copriranno anche i costi dei richiedenti asilo rispediti dagli Usa in Guatemala. L’accordo – da cui sono esclusi i minori non accompagnati – sarà revisionato trimestralmente e potrà essere rinnovato tra due anni. Neanche questa notizia è stata ben accolta dai democratici che hanno dichiarato di non essere stati informati dell’accordo e di non aver ricevuto una copia del testo prima della firma.

Eliot Engel, presidente della commissione affari esteri della Camera, ha definito il patto «crudele e immorale». «Il Guatemala non è un Paese sicuro per rifugiati e richiedenti asilo», ha detto Engel aggiungendo di aspettarsi che la mossa venga contestata in tribunale.