David Frum, giornalista e scrittore repubblicano, collaboratore di Bush jr, ha descritto questo periodo di presidenza Trump «Un Watergate al giorno», ed è difficile dargli torto; nel giro di poco, il presidente Usa, durante un incontro con i giornalisti davanti la Casa Bianca, ha pubblicamente chiesto a un leader straniero di indagare sul suo avversario politico Joe Biden, questo proprio mentre è nel mezzo di una procedura di impeachment per lo stesso motivo.

Il leader in questione questa volta è il presidente cinese, visto che, come ha detto Trump ai giornalisti, «la Cina dovrà fare quello che vogliamo» perché «noi abbiamo un enorme potere»; poi, senza spiegare a cosa si riferisse, The Donald ha aggiunto che la Cina dovrebbe iniziare a indagare i Biden, perché «quello che è accaduto in Cina è grave tanto quanto quello che è accaduto in Ucraina».

A un reporter che gli domandava se stesse esplicitamente chiedendo al presidente cinese Xi Jinping di indagare su Joe Biden e su suo figlio Hunter, Trump ha risposto, «No, ma è qualcosa sui cui dovremmo iniziare a riflettere», e ha concluso così: «Se fossi il presidente Zelensky, aprirei un’indagine sui Biden».

Questo scambio diretto di battute con i giornalisti, e indirettamente con i leader ucraino e cinese, è avvenuto proprio nello stesso momento in cui la Camera stava interrogando l’ex inviato speciale degli Stati Uniti in Ucraina, Kurt Volker, primo testimone ad essere sentito per l’indagine di impeachement.

Volker nell’interrogatorio ha rivelato una serie di messaggi definibili come compromettenti tra lui, Bill Taylor il maggiore diplomatico Usa in Ucraina, e Gordon Sondland, Ambasciatore Usa presso l’Unione europea.

In uno di questi messaggi Taylor dice agli altri due diplomatici: «Penso che sia folle trattenere il budget stanziato per la sicurezza (dell’Ucraina) in cambio di un aiuto in una campagna politica». I messaggi rivelano una discussione tra i diplomatici americani sul fatto che il presidente stia cercando di utilizzare gli aiuti per la sicurezza ucraina, o un incontro con il nuovo leader, come leva per spingere l’Ucraina a cercare del torbido su Biden.

Se ne ricava anche che l’avvocato personale di Trump, Rudy Giuliani, e Andriy Yermak, consigliere di Zelensky, dovevano preparare un comunicato per annunciare l’indagine su Biden e che nel progetto questo scomunicato doveva essere diffuso dal governo ucraino.

La mente dietro a questa idea era quella di Giuliani, il comunicato avrebbe riguardato sia la società ucraina nel cui consiglio di amministrazione lavorava Hunter Biden, sia il fatto che nel 2016 l’Ucraina avrebbe interferito nelle elezioni Usa per favorire Hillary Clinton.

Nei messaggi si diceva che fino a quando il comunicato non fosse stato diffuso, Trump non avrebbe invitato Zelensky alla Casa Bianca. Lo scambio di messaggi termina quando Sondland cambia registro e scrive che dopo aver parlato con Trump può dire non c’era nessun quid pro quo con l’Ucraina, e aggiunge saggiamente: «Suggerisco di smetterla con questi scambi di messaggi».

Ora la speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi, aspetta che la Casa Bianca fornisca i documenti che la Camera ha richiesto per la sua indagine, potrebbe, però, ricevere una lettera da parte del presidente dove la informa che non riceverà nessun documento se prima non ci sarà una votazione formale alla Camera per aprire l’impeachment.

Questa, però, non è una formalità legalmente richiesta, e lo speaker della maggioranza alla Camera può, come ha fatto, consultare i propri e poi annunciare l’apertura della procedura, e non fornire i documenti risulterebbe ostruzione della giustizia, reato per cui si può, a sua volta, aprire un impeachment.

Un Watergate al giorno, appunto, a volte più d’uno.