Visioni

Per sempre Franklin Armstrong, l’afroamerican dei Peanuts

Per sempre Franklin Armstrong,  l’afroamerican dei PeanutsCharlie Brown e Franklin Armstrong, scena da « Welcome home, Franklin» disponibile su Apple Tv+

Comics Il 31 luglio ’68 Charles M. Schulz creava il personaggio ispirato da Luther King

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 31 luglio 2024

Il 31 luglio deve essere giorno propizio per i ragazzini delle fiction, sia nella narrativa che nei fumetti: in questa data è nato Harry Potter (e, nella realtà, anche la sua autrice Joanne Rowling), e nel suo compleanno accadono sempre avvenimenti speciali, per tutta la saga di romanzi e film. L’ultimo di luglio è il giorno in cui l’undicenne viene al mondo come mago, scoprendosi tale con la chiamata a Hogwarts. Solo otto anni invece aveva, e avrà per sempre, Franklin Armstrong quando è venuto alla luce, il 31 luglio, come personaggio delle strisce dei Peanuts; coetaneo di Charlie Brown, Piperita Patty, Linus Van Pelt e Schroeder, tutti figli di Charles Monroe Schulz, che li ha disegnati per mezzo secolo: dal 1950, al 2000. L’ultima striscia, creata il 3 gennaio del primo anno del nuovo millennio era quella del congedo che, come noto, coincise praticamente con la scomparsa del suo autore: lui è morto il 12 febbraio, l’ultimo fumetto fu pubblico, come di consueto, di domenica, il 13 febbraio del 2000.

ERA INVECE la primavera di un anno caldo politicamente, il 1968, quando una lettrice dei Peanuts, Harriet Glickman, insegnante di Los Angeles, scrisse al suo autore preferito; da poco era stata assassinato Martin Luther King, e la donna chiese al popolarissimo, garbato e ficcante Schulz di introdurre un personaggio afroamericano nelle sue storie: avere potrebbe aiutare, rifletteva la donna, a influire sull’atteggiamento dell’America verso la questione razziale.

Charlie Brown e i suoi amici hanno influenzato la cultura e la società statunitense

I Peanuts nei cinquant’anni della loro pubblicazione, e nei quasi altri venticinque di ripubblicazione, hanno influenzato la cultura e la società americana, a volte solo raccontandone tic e tendenze in filigrana, con l’ironia velatamente malinconica e l’indulgenza (cui si è avvicinato solo Bill Watterson, la matita di Calvin&Hobbes) del suo autore; Schulz si sa era capace, come ogni anima in ascolto col talento della rappresentazione (grafica e letteraria nel suo caso) di anticipare orientamenti, sensibilità e costumi, degli Stati uniti e di riflesso del resto del mondo che periodicamente da sempre li imit: nelle storie delle noccioline sono apparsi nel tempo occhiali 3D, aerobica, packaging artistico di Christo, abbigliamento di skater e surfisti. Quanto di più cool ha poi attecchito, anche questo è risaputo, ha avuto come testimonial l’unico non umano dei protagonisti insieme al pennuto Woodstock: l’ineguagliato Brachetto, Snoopy. Perché non tentare di veicolare anche un concetto più sostanziale e profondo come l’integrazione?

Courtesy of the Charles M. Schulz Museum and Research Center, Santa Rosa, CA

PER NON CAVALCARE un’onda emotiva, fu la risposta iniziale di Schulz, per non essere accusato dalla stessa comunità afroamericana di un atteggiamento pietistico e riparatore. Schulz era credente e praticante anomalo. Cresciuto con un’educazione luterana da un padre che la domenica preferiva andare a pesca piuttosto che a Messa, dopo la guerra fu frequentatore della protestante Chiesa di Dio, che gli ispirò il fumetto dei fratelli maggiori dei Peanuts, «Youth». Accusato persino di eresia per la questione del Grande Cocomero, atteso da Linus come il Messia, Schulz era lontanissimo e lontano voleva restare da atteggiamenti di carità pietosa. Per questo la Glickman ci mise del bello e del buono a convincerlo sino a che nell’estate del Sessantotto Schulz fece sì che Charlie Brown incontrasse su una spiaggia un ragazzino dalla pelle nera e i capelli ricci, Franklin, che gli recupera la palla gonfiabile che Sally aveva fatto finire nell’oceano.
Restituire il pallone a Charlie Brown non è un gesto banale dato che il protagonista dei Peanuts (l’unico chiamato sempre con nome e cognome) passerà la vita a tentare invano di calciarne uno (da football).
«Non sono famoso dalle mie parti per fare le cose bene» confida al suo nuovo amico afroamericano, di cui sappiamo da subito che ha un padre che combatte in Vietnam: «anche il mio è stato in guerra, ma non so quale» commenta Charlie Brown che costituendosi subito come fragile e goffo pare conquistare Franklin. Nei mesi successivi il ragazzino afroamericano lo va cercare, imbattendosi in tutta la comunità eccentrica dei Peanuts, Snoopy compreso, di cui finisce per fare parte distinguendosi come buon giocatore di baseball e come il meno nevrotico e insicuro della cricca.

IL COGNOME Armstrong gli viene dato qualche tempo dopo, e oltre a evocare il jazzista, è un omaggio a quello di un fumettista di Schulz, Robb Armstrong autore poi del fortunato «Jump Start», ancora in pubblicazione che racconta la vita e i guai di una coppia afroamericana. Armstrong è anche lo sceneggiatore col figlio di Schulz, Craig, del film di animazione Nat presentato dallo Schulz Museum di Santa Rosa, e disponibile su Apple Tv +.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento