La Svezia, che ha già rimesso i controlli alle frontiere, adesso programma espulsioni di richiedenti asilo respinti, facendo ricorso ai charter. L’Olanda, che ha la presidenza semestrale del Consiglio Ue, prepara un piano assieme a Germania, Austria e Svezia per rispedire in Turchia, con dei treni, i rifugiati respinti dall’Europa. La Gran Bretagna limita solo a «casi eccezionali» la vecchia promessa di accogliere qualche migliaio di minori non accompagnati. Ma, soprattutto, Bruxelles minaccia la Grecia, accusata di lassismo sugli hotspot e sulle registrazioni, di messa in quarantena.

I giorni sembrano contati per lo spazio Schengen e la Commissione reagisce individuando un capro espiatorio – la Grecia – per cercare di evitare un crollo generalizzato della conquista della libera circolazione, che vale per le persone, ma soprattutto per le merci: rimettere le frontiere costerebbe miliardi all’economia europea, la camera di commercio tedesca ha calcolato almeno 10 miliardi l’anno per la sola Germania. Ma un’esclusione di Atene da Schengen finirebbe per mettere in ginocchio l’economia greca. Difatti, la Grecia non ha confini terrestri con altri paesi Schengen e i controlli si concentrerebbero su aeroporti e porti, frenando la fluidità del turismo, principale fonte economica del paese.

L’ultimatum alla Grecia dipende dalla procedura che la Commissione ha avviato mercoledì, per permettere alla Germania di non trovarsi in situazione di infrazione con il codice Schengen, per aver introdotto i controlli alle frontiere con l’Austria il 13 settembre 2015. Stando al trattato di libera circolazione, i controlli possono essere reintrodotti in casi eccezionali, e al massimo possono durare 8 mesi. L’unico modo per poterli mantenere in vigore fino a 2 anni è avviare la procedura – in tre tappe – come ha fatto la Commissione mercoledì.

La prima tappa riguarda la «valutazione Schengen», sulla base dei dati raccolti dallo scorso novembre da Frontex ai confini tra Grecia e Turchia. Frontex ha trovato «mancanze gravi» di Atene «nell’esecuzione dei controlli alle frontiere», che possono quindi giustificare le reazioni a catena delle chiusure degli altri partner. Questo dossier sarà sottoposto al Consiglio europeo dei capi di stato e di governo, che nel prossimo febbraio (al vertice che sarà soprattutto dedicato al Brexit) dovranno approvare una «raccomandazione» della Commissione alla Grecia, che avrà 3 mesi di tempo per ottemperare e «eseguire le misure correttive». Scaduti i tre mesi – saremo quindi a maggio, mese in cui scade il “permesso” per la Germania di mettere sotto controllo la frontiera con l’Austria – se verranno constatate ancora delle «gravi mancanze», verrà attivato l’ormai famoso articolo 26 del codice Schengen: diventerà legale imporre controlli alle frontiere per due anni. La Germania eviterà cosi’ l’infrazione e Schengen, pur sospeso, verrà tenuto in vita sulla carta.

La procedura scelta da Bruxelles ha qualcosa di diabolico. Per Harlem Désir, ministro francese degli Affari europei, mettere «la Grecia fuori da Schengen sarebbe un grave errore». Tanto più che, come sottolineano Spagna e Italia – che temono di diventare i prossimi punti caldi degli arrivi – l’espulsione non risolverebbe nessun problema.

La Svezia ha scelto una strada drastica. Il primo ministro, Stefan Löfven (Spd) ha affermato giorni fa che il paese «non può più accogliere richiedenti asilo come prima» e il ministro degli Interni, Anders Ygeman, ha spiegato ieri che potranno venire espulsi tramite dei voli charter «60mila, ma potremo arrivare a 80mila» rifugiati la cui domanda è stata respinta. Nel 2015, in Svezia sono arrivati 163mila rifugiati. 58.800 casi sono stati analizzati e il 55% è stato accettato, con percentuali che vanno dal 90% per i siriani, al 35% per gli afghani e il 20% per gli iracheni.
Per afghani e iracheni vale sempre il Protocollo di Dublino, che prevede di rimandare i rifiutati nel primo paese di sbarco, sistema sospeso invece per i siriani: la Commissione, del resto, sta studiando una sospensione generalizzata di Dublino.

Ma il vice-presidente della Commissione, Frans Timmermans, precisa che tra le persone in arrivo, il 60% non sono rifugiati ma «migranti economici», che vanno quindi respinti. Qui dovrebbe intervenire l’accordo con la Turchia: soldi (3 miliardi, che del resto non sono ancora stati raccolti, forse di più) in cambio di un freno alle partenze di Ankara. In realtà, c’era anche stato un accordo per accogliere in Europa 250mila persone attualmente nei campi turchi, ma già gli europei non riescono ad attuare il programma delle 160mila ricollocazioni interne (meno di 300 persone sono state sistemate) e ora l’Olanda studia un programma di respingimenti via treno verso la Turchia (da dove, nel 2015, 850mila persone sono entrare in Grecia), in base all’intesa sulle «riammissioni» di migranti illegali.