Srecko Horvat è un filosofo e attivista croato; nel 2016 ha fondato assieme a Yanis Varoufakis il movimento progressista paneuropeo Diem25. Autore di diversi libri, ha collaborato e collabora con varie testate internazionali, tra cui il Guardian, il New York Times, Al Jazeera, Jacobin e Der Spiegel; il settimanale tedesco Der Freitag lo ha definito «una delle voci più entusiasmanti della sua generazione». Uno dei punti principali del programma politico di Diem25 è il Green New Deal, ovvero la necessità di cambiare radicalmente l’attuale sistema economico, ritenuto insostenibile dal punto di vista ambientale.

Considerando la situazione generale del pianeta, quanto abbiamo bisogno di un Green New Deal?

Stando ai dati scientifici abbiamo forse un decennio per trasformare radicalmente la nostra economia che dipende ancora fortemente dai combustibili fossili e dal disastroso concetto di “crescita”. Dobbiamo capire che quello che chiamiamo “progresso” altro non è che un’accumulazione di catastrofi. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di un Green New Deal, un programma di investimenti massicci nelle infrastrutture pubbliche e nella “green technology”, cosa che implica una totale ridefinizione del modo in cui viviamo, ci muoviamo e consumiamo. Perché ogni persona dovrebbe avere una macchina? Perché il trasporto dovrebbe essere privato e non pubblico? Perché l’Ue non sta investendo in più linee ferroviarie? Perché abbiamo bisogno delle bottiglie di plastica? Perché continuiamo a comprare così tanti vestiti nuovi se sappiamo che l’industria della moda è uno dei più grandi agenti inquinanti al mondo?

 

[do action=”citazione”]A volte le azioni sovversive di disobbedienza civile sono necessarie… I ragazzi vedono giusto quando dicono che non ha senso andare a scuola se non c’è alcun futuro[/do]

 

Vedere così tanti giovani che manifestano per il clima, come negli ultimi mesi, è incoraggiante, ma i politici ancora non fanno abbastanza. Cosa serve dunque?

Alle manifestazioni non segue necessariamente l’azione politica; al contrario, l’establishment sta ora giocando il gioco della “pulizia verde”, come la Commissione europea che ultimamente sta parlando del Green New Deal. Il capitalismo è sempre stato molto rapido ad aggiustare le idee radicali, quindi ora vedremo anche delle riforme “green” qua e là. Ma non è abbastanza. Abbiamo bisogno di una trasformazione radicale dell’economia. Il movimento globale per il clima sta andando nella giusta direzione, capendo che a volte azioni sovversive di disobbedienza civile sono necessarie.

Greta Thunberg è uno dei fenomeni di maggior successo del decennio, ma allo stesso tempo è un personaggio molto criticato; molti pensano che non abbiamo bisogno di ascoltare le opinioni di un’adolescente. Abbiamo davvero bisogno di Greta Thunberg?

Assolutamente. Avevamo bisogno di Giovanna d’Arco, anche lei una teenager? Sì, perché se i cosiddetti “adulti” si comportano come bambini irresponsabili, sono proprio i bambini a dover far sentire la propria voce, e, se necessario, scioperare e saltare la scuola. I nostri leader mondiali – da Merkel a Putin – hanno detto che dovrebbero piuttosto tornare a scuola, ma i ragazzi vedono giusto quando dicono che non ha senso andare a scuola se non c’è alcun futuro.

Uno dei problemi maggiori in questo contesto sono i negazionisti climatici. Come affrontarli?

Non sono così sicuro di quanto possa continuare a reggere la vecchia tesi dei “negazionisti climatici”. Le multinazionali e i leader populisti sanno molto bene cosa stanno facendo… e continuano a farlo. Per essi è un modo facile di guadagnare un sacco di soldi. Il problema non è la negazione ma l’accettazione, e addirittura la preparazione, dell’Apocalisse. Il miliardario Warren Buffett, ha proposito dell’inevitabilità della catastrofe ecologica, ha scritto: «Diversamente dagli altri assicuratori, noi cercheremo di fare affari il giorno successivo». Il problema sono i negazionisti o quelli che già contano il profitto della mega-catastrofe che loro stessi hanno prodotto?

Ci sono 20 compagnie di combustibili fossili che possono essere legate direttamente a un terzo delle emissioni di gas serra. La politica dovrebbe frenare la loro attività?

Purtroppo, i nostri governi sono spesso nelle mani di queste compagnie. Pensa alla discussione in Germania sull’industria automobilistica e quanta influenza ha sulla politica. Il punto sul futuro della democrazia non è tanto legato a chi ha il diritto di governare un Paese, ma a chi ha il potere di decidere il futuro del pianeta. Sono pochi singoli ricchi, è lo Stato, è un’istituzione mondiale, è la gente comune o chi non è ancora nato?

 

Srecko Horvat

Sembra che 7 miliardi e mezzo di persone debbano pagare il prezzo affinché una dozzina di compagnie continuino a incassare i loro profitti da record…

Precisamente, ma questo potrebbe cambiare. Pensa alle grandi proteste che stanno prendendo piede dal Cile al Libano, dalla Francia a Hong Kong. Le persone ovviamente sono stufe di un sistema che crea crescente disuguaglianza e che conduce il pianeta alla distruzione. Questo è il motivo per cui mi piace molto lo slogan cileno «no es por 30 pesos, es por 30 anos»: la vera ragione delle proteste non è l’aumento del prezzo dei trasporti, ma decenni di politiche neoliberali dei Chicago Boys. Potremmo pure dire che non sono 30 gli anni, ma perlomeno 300, perché tutto ciò affonda le radici nel colonialismo. Il capitalismo ha una storia molto lunga, ma così la resistenza.

In generale la gente non si aspetta più che la politica possa risolvere veramente dei problemi importanti. È diverso il caso del clima?

La politica, come al solito, non ci porterà fuori da questo caos. Se continuiamo sempre con la politica vecchio stampo, che nella pratica è un sistema costruito per soddisfare gli interessi del capitale o di particolari privati, già tra alcuni decenni vivremo in un pianeta completamente diverso. Alcuni stanno già sperimentando la “fine del mondo”. Se non è ancora successo nel tuo piccolo angolino, non significa che non sia successo altrove – o che non possa succedere a te.

Alcuni pensano che non ci sia alcuna emergenza climatica e che si tratti solo di allarmismo gratuito…

Oggi abbiamo bisogno, come non mai, di una cooperazione transnazionale senza precedenti tra movimenti progressisti, partiti politici, scienziati, comunità locali, sognatori coraggiosi e filosofi. Dobbiamo capire che la “natura” non è solo una materia prima da modificare e da cui trarre un profitto, ma un “bene globale” che serve a sostenere l’umanità e la vita stessa.

Figure come Trump e Salvini, invece di affrontare questi problemi, semplicemente ci scherzano sopra. Quanto è pericoloso il populismo per l’ambiente?

Non solo per l’ambiente ma anche per il futuro del pianeta, perché capovolge i fatti. Greta può ripetere quanto vuole «ascoltate gli scienziati», ma dubito che questo possa bastare. I populisti hanno realizzato quello che la filosofia francese chiamerebbe “economia libidinale”, ovvero il potere degli affetti. Qualcosa che Spinoza ha realizzato secoli fa, e su cui in Italia Toni Negri ha scritto moltissimo. La sinistra, per affrontare il populismo, deve riscoprire il potere degli affetti e dell’immaginazione. Abbiamo bisogno di fatti e scienza, ma non è abbastanza.

Il Green New Deal è uno dei punti chiave di Diem25. In cosa consiste?

Diem25 da anni sta lavorando al Green New Deal, che diversamente da altre sue versioni, non è solo un’altra politica “green” ma prevede una transizione adeguata, una via verso il post-capitalismo. Include non solo proposte concrete su come usare le istituzioni europee esistenti per portare grossi investimenti verso le tecnologie verdi, ma anche parti sulla creazione di lavoro o quello che chiamiamo «dividendo basico universale», ovvero un modo di usare la rivoluzione tecnologica per liberarci finalmente dai “lavori spazzatura” e dalla tirannia del lavoro.