Il primo rapporto dell’Ipcc che si focalizza specificatamente sull’uso del suolo è molto chiaro: proteggere le foreste e cambiare dieta se vogliamo salvare il clima. Pochi giorni dopo lo scenario apocalittico dei milioni di ettari di foreste siberiane in fumo, fenomeno ancora in atto, è stato approvato il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) su cambiamenti climatici e uso del suolo. L’analisi focalizza l’utilizzo del suolo, la deforestazione e l’agricoltura intensiva come importante causa dei cambiamenti climatici, con un contributo di quasi un quarto alle emissioni di gas a effetto serra. Che la tutela delle foreste sia un tema centrale per la protezione del clima globale è ben noto.

Così come è noto che a spingere la deforestazione sono (oltre che la produzione di legname e di polpa di cellulosa) attività quali la produzione di soia (transgenica) utilizzata per lo più per l’alimentazione animale, l’olio di palma, per i biocarburanti e vari usi alimentari e non, la produzione di cacao e la creazione di pascoli per l’allevamento di animali destinati al macello.

Dunque, il rapporto evidenzia in modo specifico e documentato le relazioni che ci sono tra lotta ai cambiamenti climatici e protezione della biodiversità.
In sostanza, recuperare le foreste e cambiare dieta riducendo il consumo di carne e latticini è un pezzo non marginale della formula per combattere i cambiamenti climatici, che comunque rimane centrata sulla progressiva eliminazione delle fonti fossili dal sistema energetico.

Vengono presentati diversi possibili scenari di risposta in funzione di quanta terra può essere allocata tra la produzione agricola, i pascoli, la produzione di bioenergie, le foreste e le aree naturali.

Il rapporto identifica anche una serie di misure di mitigazione (dall’agro-ecologia per aumentare il carbonio nei suoli al cambio di diete con minore apporto di carne e latticini) che potrebbero portare il bilancio dell’impatto del sistema agricolo globale in positivo, risultando cioè maggiori gli assorbimenti delle emissioni.

Trasformare l’agricoltura in una pratica che impatta positivamente sul ciclo del carbonio è una questione centrale delle politiche per combattere i cambiamenti climatici, da oggi abbiamo una analisi più dettagliata per cercare e praticare le soluzioni. Lo scenario che presenta i rischi minori per la sicurezza alimentare è quello che prevede una gestione sostenibile e una diversa composizione della produzione di cibo, mentre lo scenario «estremo» che prevede una produzione intensiva di bioenergie (con o senza cattura e stoccaggio di carbonio) e afforestazione spinta anche se consente una mitigazione delle emissioni, comporta un uso del suolo che appare meno sostenibile e meno flessibile.

Due degli scenari sono poi confrontati rispetto ai possibili aumenti della temperatura globale media: i cambiamenti climatici influiranno – e non poco – sulla produzione agricola, ragion per cui una produzione spostata verso una dieta maggiormente basata su piante e vegetali risulta quella che presenta la migliore sicurezza alimentare e maggior capacità di adattamento.

I cambiamenti climatici in atto stanno già presentandosi come una pericolosa «grande trasformazione» delle condizioni di vita di vaste aree del pianeta, già oggi con un aumento di temperature globali meno di 1°C (che però sulla sola terraferma è già 1,53°C).

I governi devono adottare un mix di politiche in tutti i settori per innovare in modo mirato le pratiche agricole, sia per ridurre le emissioni e aumentare gli assorbimenti di CO2 che per aumentare la capacità di reagire e adattarsi al mutare delle condizioni climatiche.

Dalla micro-irrigazione al recupero di aree degradate utilizzando piante resistenti alla siccità, da pratiche di agroforestazione a quelle di agroecologia e del biologico, riducendo gli apporti della chimica al terreno, varie sono le misure possibili, a seconda delle aree del pianeta, che possono contribuire a combattere la desertificazione, a combattere i cambiamenti climatici con l’assorbimento di CO2 e a migliorare l’adattamento. Scarsità di acqua significa scarsità di cibo, aumento delle migrazioni e maggiori conflitti. Senza un governo di questi fenomeni il rischio di soluzioni distruttive è alto: la speranza è che lo spirito dell’Accordo di Parigi produca entro il 2020, secondo quanto stabilito, impegni all’altezza della sfida.

* direttore Greenpeace Italia