I tempi slittano: che Renzi arrivi in aula prima della settimana prossima appare adesso una missione quasi impossibile. Potrebbero volerci addirittura due giri di consultazioni: uno prima di stilare il programma, che non solo il Ncd ma anche Giorgio Napolitano insistono perché sia messo per iscritto e firmato quasi pagina per pagina, e uno per verificare che il papiello metta davvero d’accordo l’intera maggioranza, perché il capo dello Stato, stavolta, pretende che non ci siano sorprese.

Di scogli grossi Matteo Renzi ne deve superare due. Il primo è la trattativa con Alfano. Non è, o non è più, questione di posti. L’ex delfino è sicuro di mantenere il posto al Viminale pur dovendo in cambio rinunciare alla poltrona di vicepremier. Intatti anche i ministeri di Lupi e della Lorenzin, più 7 o 8 sottosegretari. Resta da definire la partita sulle deleghe, ma l’ostacolo più serio non è quello. Il punto dolente si chiama Berlusconi Silvio.

Gli «idioti» utili dell’Ncd mirano a spazzare via l’asse tra Renzi con quelli «inutili» di Fi. Chiedono un impegno formale a non cambiare maggioranza di qui ai prossimi mesi, vogliono garanzie sul fatto che il futuro premier non giochi a costruirsi un sistema di alleanze variabili: una, per la fiducia, con Alfano, e un’altra, per i singoli provvedimenti oltre che per le riforme, con Berlusconi. C’è un solo modo, però, per far saltare la «profonda sintonia» tra Firenze ed Arcore: ridefinire la la legge elettorale.

Due le richieste dell’Ncd: portare dal 12 al 10% la soglia di sbarramento per le coalizioni e introdurre le preferenze. La prima è per Berlusconi difficilmente accettabile, perché i centristi potrebbero ambire a superare da soli, senza doversi per forza alleare con Fi, la soglia abbassata. La seconda è del tutto inaccettabile, perché premierebbe i medesimi centristi sia coalizzati con Fi sia in corsa da soli. Senza contare il peso simbolico che assumerebbe una legge con in calce, accanto a quella di Renzi, non più la firma del cavaliere ma quella del suo odiato ex delfino. L’intera strategia del dinamico segretario ne uscirebbe a pezzi: si capisce quindi perché sciogliere l’aggrovigliato nodo non sia facile.

Ogni ora di più, però, Renzi scopre di doversi misurare con una seconda, imprevista, difficoltà: la pioggia di cortesi rifiuti che piovono sulle offerte di ministeri vari. Farinetti fa il tifo per Matteo, «si augura» che scelga qualcuno ostile agli Ogm. Ma a impegnarsi di persona non ci pensa proprio. Fabrizio Barca ha confessato in diretta radio al falso Vendola della Zanzara di essersi già defilato dalla corsa (si fa per dire) al ministero dell’Economia: «Sono sotto continua pressione, ma non ci penso proprio. Se fallisce è un disastro, ma non possono pretendere che una persona faccia violenza ai propri metodi e alla propria cultura». Anche Letta, oggetto di una nuova offensiva diplomatica, mantiene saldo il suo no e lo stesso dicasi per Romano Prodi. Guerra ha già optato per la remuneratissima carica di ad Luxottica, e vagli a dare torto. Insomma, trovare qualcuno disposto a entrare nel governo sta diventando un’impresa.

Anche perché sembra proprio che Giorgio Napolitano, stavolta, ad alzare il telefono per esercitare la sua notevole capacità di suasion non ci pensi affatto. Un po’ perché non vuole trovarsi al centro di nuove polemiche, con i giornali della destra che lo accusano di diffondere pizzini e voler scegliere lui i ministri. Ma forse anche perché sin dall’inizio è questa la linea che il Colle ha scelto e ha consigliato, con pieno successo, di adottare anche a Letta: farsi coinvolgere il meno possibile in quella che viene considerata più o meno un’avventura.

Per finire, anche quando di candidati disposti a rischiare ce ne sarebbero, la strada è comunque in salita. Per la Giustizia, bisogna decidere se optare per una nomina gradita a Berlusconi oppure no, e nemmeno questa è una scelta facile.

Nel primo caso, il nome più papabile sarebbe quello di Guido Calvi.

Nella seconda ipotesi sono in campo due candidate entrambe poco amate dal cavaliere: Paola Severino e Livia Pomodoro. La prima ha firmato la legge per cui Silvio è decaduto. La seconda è addirittura targata procura di Milano.