«Basta è finita, Marino è indifendibile» ma per ora niente polemiche, «ora velocemente dovremo scegliere il candidato». Il tam tam del Nazareno tenta di accreditare un Renzi determinato a trovare subito una soluzione per uscire fuori dal pasticciaccio brutto del Campidoglio. Minimizzando le perdite. Che però sono ingenti.
Tra il premier e il commissario di Roma Matteo Orfini, che fino all’ultimo ha difeso e protetto il sindaco da Renzi e da sé stesso, negli ultimi mesi c’era stato il freddo. Ora è salita una cortina di gelo. Ieri, in una telefonata, per la prima volta dopo tanto tempo i due si sono ritrovati d’accordo: sull’annuncio delle dimissioni del sindaco. Del resto il piano B del commissario – il rimpasto di giunta con nuovi improbabili personaggi e il rilancio della sindacatura – si è schiantato sotto l’ultima serie di gaffe del chirurgo, dalle bugie sul viaggio negli Usa smascherate da papa Francesco fino agli osti di Roma che uno a uno hanno smentito le parole del sindaco sulle cene pagate con carte di credito comunale.

Di fronte alla fermezza di Orfini – «Non possiamo consegnare la città ai 5 stelle» – Renzi aveva rinunciato al ’suo’ piano A : dimissioni di Marino, autoaffondamento della sindacatura segnata – talvolta suo malgrado, ma non sempre – dalle inchieste di Mafia Capitale. E poi elezioni in primavera insieme a Milano, Napoli, Torino, Bologna. Con il rischio calcolato di «perdere Roma per non perdere il Pd». A metà giugno Renzi aveva iniziato la manovra con un’intervista alla Stampa: «Fossi in Marino non starei tranquillo», «se è in grado di governare governi, se non è in grado vada a casa». Il presidente-segretario ragionava così: meglio mollarlo subito, mettere la massima distanza fra il ’vecchio’ Pd attraversato da indagini e il ’nuovo’ Pd di Renzi. Qualsiasi cosa, anche lo smacco mondiale di un commissario durante il Giubileo piuttosto che lo stillicidio quotidiano delle iniziative dei pm e delle stravaganze del chirurgo.

Ora le dimissioni sono arrivate: ma nelle condizioni peggiori per il Pd. Il sindaco «onesto» ha restituito i soldi delle spese di rappresentanza con un gesto che suona come un’ammissione di colpa e un patteggiamento della pena. Ora la battaglia di primavera è tutta salita per il partito che governa la Capitale. «Questo esito era prevedibile ma arriviamo al voto con un ritardo accumulato e troppo poco tempo per ricostruire un discorso con la città», riflette Roberto Morassut, assessore dei tempi di Veltroni. Il Pd romano assicura al futuro commissario prefettizio «il massimo impegno per continuare ad affrontare i problemi di Roma e garantire la piena riuscita del Giubileo». Ma la storia fin qui è stata un’altra: la maggioranza dem inginocchiata dalle lotte intestine (e dalle inchieste) negli ultimi giorni non riusciva neanche più a mantenere il numero legale in consiglio. Polemiche sul commissario Orfini, sbando, malumori e sfiducia. «Il Pd delle ultime ore di Marino è andato totalmente fuori controllo: assessori che si dimettevano per fare pressione sul sindaco, un viavai di voci incontrollate», spiegano le voci di dentro.

Ma il male del Pd capitolino è molto più antico. La città è paralizzata da un anno, «ostaggio del principale partito del paese», spiega il consigliere radicale Riccardo Magi, «che non è stato in grado di produrre, deliberatamente o no, altro che il congelamento della vita amministrativa della città. Le poche soluzioni di governo adottate hanno ripercorso per inerzia i vecchi schemi che sono all’origine dei problemi strutturali di Roma».

Eppure per i dem romani, dopo la botta di Mafia Capitale e il crescendo rossiniano degli espedienti del sindaco per restare a galla, non è ancora il tempo dell’autocoscienza. Per Renzi, prima del computo delle responsabilità, c’è la rapida scelta di un candidato. Circolano nomi: il combat-renziano Roberto Giachetti, ex radicale, la ministra Madia, il ministro Gentiloni. Ma nessuno di questi nomi al momento sarebbe in grado di resistere all’onda d’urto crescente dei grillini, che ieri già cantavano vittoria. Spiega un altro dirigente storico del Pd romano: «Vincere al primo turno per noi è impossibile. E al ballottaggio, ammesso di arrivarci, contro di noi si formerà la santa alleanza della destra sul candidato M5S». La sconfitta della capitale rischia di segnare tutte le amministrative di maggio. Se non peggio, per il Pd: Roma spesso ha anticipato le tendenze nazionali. Il suo risultato rischia di essere la profezia di un altro ballottaggio: quello dell’Italicum per il governo del paese.