Fino ad ora tutto bene. L’atterraggio è previsto a marzo ma l’esito non cambia. Per l’Eurogruppo, l’Italia (insieme a Francia e Belgio, tra gli altri) dovrà fare una nuova manovra. La formula usata nel comunicato finale è sibillina. In teoria lascia tutto aperto, nella sostanza la procedura di infrazione per il debito eccessivo è dietro l’angolo. E a nulla varrà la tattica dilatoria del presidente della Commissione Europea, il discusso e già debolissimo Jean-Claude Juncker. Nell’Europa germanocentrica in via di implosione i debiti si pagano con tagli sanguinosi alla spesa pubblica. Questo è il significato del comunicato finale redatto ieri al termine della riunione dei ministri dell’economia. «I Paesi a rischio di “non rispetto” del Patto di stabilità devono prendere misure addizionali tempestivamente per affrontare il “gap” evidenziato della Commissione e rispettare l’appropriata convergenza verso l’obiettivo di medio termine e il rispetto della regola del debito».

Il «gap» in questione si misura in miliardi di euro. La Commissione Ue aveva già chiesto al governo Renzi una manovra aggiuntiva di 3,2 miliardi ad ottobre. A marzo i miliardi potrebbero essere molti di più (sei). I conti della legge di stabilità, secondo il vangelo dell’austerità, sono già oggi sbagliati. La differenza si misura in decimali che pesano tonnellate: lo «sforzo strutturale» impostato da Renzi e Padoan è dello 0,1% del Pil. Quello richiesto dai gendarmi del rigore è dello 0,5%. La differenza da pagare è dello 0,4%. Al termine della riunione di ieri, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem ha messo le mani avanti: «Bisogna valutare se prendere nuove misure o se quanto chiesto può essere soddisfatto con misure già prese o con una nuova valutazione della Commissione – ha detto – Sta alla Commissione deciderlo. Tutto è possibile, ma qualcosa va fatto».

Uno spiraglio per il ministro dell’Economia Padoan. «Dalla dichiarazione non emerge alcuna richiesta di una manovra aggiuntiva – ha detto – L’Eurogruppo riconosce l’importanza dello sforzo italiano sulle riforme». Poi, in un’intervista alla Welt, una stilettata alla Merkel che aveva «bocciato» l’Italia sulle riforme: «La Germania ha un surplus sull’export troppo alto, deve fare più investimenti come ha detto la Commissione. Basta rimproveri incrociati. Ci troviamo nella stessa barca, dovremmo remare nella stessa direzione». In questo caso il condizionale usato dal ministro è d’obbligo. Le gerarchie nel vecchio continente sono chiare: c’è solo uno a guidare, tutti gli altri continuano a remare. La richiesta di una nuova manovra non c’è, ma il governo italiano deve trovare una soluzione alla crescita del debito.

Ieri l’Ocse ha confermato che la «la crescita ha perso slancio» in Europa. Come se ne avesse mai avuto uno. Il «superindice» Ocse di ottobre rileva un calo in Germania e Italia rispettivamente dello 0,16% e dello 0,06% rispetto al mese precedente. «Date le circostanze -aveva spiegato in mattinata Dijsselbloem – la Commissione ha proposto di dare più tempo a questi Paesi. In generale, per tutti, bisogna ricordare che il Patto va rispettato e quindi bisogna rispettare le regole che tutti abbiamo approvato».

Tre mesi di tregua, dunque. E poi si ricomincia sulla linea rigorista della Merkel e dei democristiani con i quali i socialisti (e il Pd) sono alleati nel parlamento Ue. Nel frattempo i toni della polemica tra Roma e Berlino si sono attenuati. Il fustigatore dei paesi cicala Wolfgang Schauble, ministro tedesco delle finanze, ha riconosciuto che il Jobs Act è «una riforma impressionante». Lo disse anche la Merkel a proposito della riforma Fornero su lavoro e pensioni impostata dal governo Monti. L’esito è stato disastroso al punto da spingere oggi ad un’altra riforma potenzialmente peggiore.