Il premier conservatore spagnolo, Mariano Rajoy è in visita ufficiale negli Stati Uniti, dove ieri è stato ricevuto alla Casa Bianca dal presidente Barack Obama: in agenda i temi economici, con il leader iberico impegnato nel convincere il suo interlocutore che «la Spagna sta superando la crisi». Magari fosse vero: i problemi, invece, sono ancora tutti sul tappeto, mentre Rajoy rischia di trovarsi al suo ritorno un fronte aperto in più. Stavolta non si parla di spread, debito e disoccupazione, ma del processo di pacificazione in corso nei Paesi baschi (Euskadi).

Dopo la grande manifestazione di sabato scorso a Bilbao, a cui hanno partecipato in oltre centomila sotto le insegne di tutte le forze nazionaliste della regione – dai moderati del Pnv alla sinistra indipendentista di Sortu –, il governo centrale del Partido popular (Pp) difficilmente potrà continuare a ignorare le richieste di una svolta nella sua linea. Sul banco degli imputati è l’immobilismo di Rajoy, che si rifiuta di riconoscere i passi verso la pacificazione e la normalizzazione della vita politica e sociale in Euskadi compiuti dall’organizzazione armata Eta.

Il Pp è sembrato fino ad ora volutamente ignorare la storica scelta di abbandono del terrorismo avvenuta nell’ottobre 2011, resa ancora più forte e definitiva dalle recenti prese di posizione pubbliche sia dei militanti dell’Eta nelle carceri sia degli ex detenuti. Negandosi a vedere il nuovo scenario, Rajoy ha eretto un muro contro le richieste di miglioramento del regime penitenziario dei prigionieri dell’Eta, come invece chiede la stragrande maggioranza della società basca: non solo i partiti nazionalisti che hanno sfilato tutti insieme (non accadeva da 15 anni) sabato a Bilbao, ma anche i socialisti del Psoe di Euskadi.