Nonostante sulla carta le premesse per renderle interessanti ci siano tutte, le elezioni di domenica prossima in Russia sono già state etichettate da osservatori ed esperti come le più noiose della storia del Paese. Centoundici milioni di potenziali elettori, su una popolazione complessiva di circa 145 milioni, saranno chiamati a scegliere i 450 membri della Gosudarstvennaya Duma, più familiarmente chiamata Gosduma, la camera bassa dell’assemblea federale russa. Si voterà con un nuovo sistema misto che prevede 225 deputati eletti dalle liste dei 14 partiti in lizza (con una soglia di sbarramento del 5%) e 225 eletti secondo i voti ricevuti nei vari distretti con sistema maggioritario.

L’esito del voto avrà necessariamente ripercussioni anche sulle elezioni del marzo 2018 con cui il popolo russo deciderà chi dovrà sedersi sulla poltrona presidenziale, a detta di molti l’unica che veramente conti nella federazione. Eppure, malgrado l’importanza del premio in palio e la rilevanza dei numeri in gioco, la partita si preannuncia tediosa, con un esito scontato e senza alcuna possibilità di seppur minimi colpi di scena. La vittoria di Edinaja Rossija, ossia Russia Unita, il partito al potere nato nel 2001 per sostenere Putin, è considerata da tutti già archiviata. Si discute semmai sulla possibilità che non ottenga la maggioranza assoluta. Ma anche in questo caso, sottolineano da più parti, il suo controllo non verrebbe meno grazie all’ormai consolidato sostegno di quella che viene definita «opposizione sistemica», garantita dal Partito Comunista di Gennadi Ziuganov, dai Liberaldemocratici di Vladimir Zhirinovski e da Russia Giusta di Serghei Mironov, da sempre funzionali al potere putiniano.

 

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L’aspettativa di vittoria, comunque, non ha fatto dimenticare a Russia Unita la lezione del 2011, quando i russi scesero in piazza per protestare contro i brogli che avevano caratterizzato il voto del 4 dicembre, dando vita a Mosca alla più grande manifestazione dai tempi della dissoluzione dell’Unione sovietica, con circa 50mila dimostranti in strada. «Se la rissa è inevitabile colpisci per primo» è uno dei motti ripetuti con maggior frequenza da Putin. Quando però lo scontro è arginabile il presidente preferisce mettere in campo strategie di contenimento dell’avversario piuttosto che optare per lo scontro frontale. E così, per scongiurare sorprese o eventuali proteste, il capo dello staff del Cremlino e fedele suzerain putiniano Vyacheslav Volodin ha ricevuto l’incarico di rendere le prossime consultazioni le più trasparenti e democratiche della storia russa. Anche perché la situazione economica è nettamente peggiorata rispetto al 2011, visto che le entrate della federazione derivano in buona parte dall’esportazione di materie prime con prezzi in costante calo. Ragione in più per evitare qualsiasi ulteriore malcontento e accrescere il più possibile la propria legittimità presso gli elettori e agli occhi della comunità internazionale.

A questo scopo, come prima cosa è stato rimosso dalla poltrona di presidente della commissione elettorale l’odiato Vladimir Churov, considerato da tutti una marionetta del Cremlino, e al suo posto è stata nominata Ella Panfilova, ex commissaria ai diritti umani stimata dalle opposizioni. In secondo luogo si è consentito anche a storici avversari in precedenza tenuti al margine o esclusi dalla vita politica di partecipare alla competizione elettorale. Come è successo all’ex primo ministro Mikhail Kasyanov, molto critico nei confronti di Putin, o a Mikhail Khodorkovsky, considerato un acerrimo nemico del presidente, che dopo aver trascorso un decennio in una prigione in Siberia ha potuto appoggiare e finanziare apertamente alcuni candidati dell’opposizione. Anche il Parnas, Partito del Popolo per la Libertà dell’ex vice premier Boris Nemtsov, altro storico avversario del capo di Stato, ucciso in strada a Mosca nel febbraio del 2015 a colpi di arma da fuoco, ha ricevuto il via libera, dopo essere stato sciolto dalla Corte suprema russa nel 2007 ed essersi ricostituito nel 2012 a seguito dell’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo.

In ogni caso le elezioni, seppure sono state aperte a molti, non sono certo per tutti. Tra gli esclusi c’è ad esempio Aleksei Naval, attivista divenuto famoso per la sua battaglia contro la corruzione, ex candidato sindaco a Mosca, definito dal Wall Street Journal come «l’uomo che Putin teme di più», il cui Partito del Progresso non ha ottenuto il via libera alla registrazione.

E se da un lato ci sono state aperture verso gli oppositori, dall’altro non si può ignorare che il 5 settembre l’istituto demoscopico Levada Center, tra i più autorevoli e imparziali del Paese, ha ricevuto dal ministero della Giustizia russo l’avviso di essere stato iscritto nel registro degli «agenti stranieri», vale a dire quelle organizzazioni che ricevono soldi dall’estero, dopo aver pubblicato i risultati di un sondaggio che dava in leggero calo Russia Unita. Inoltre i detrattori del presidente hanno sottolineato con forza che la scelta di anticipare le elezioni, inizialmente previste per dicembre, rientra in una strategia dell’uomo al comando per il mantenimento dello statu quo, essendo in questo periodo gli abitanti dei centri urbani, tradizionalmente più avversi a Edinaja Rossija, troppo impegnati con il rientro al lavoro dalle ferie e con l’inizio delle scuole per i figli, per mobilitarsi in vista del voto. Indizi del fatto che il Vladimir di Leningrado e il suo partito, pur essendo sicuri di vincere, non hanno voluto lasciare alcun margine all’incertezza. Perché, come ha spiegato nel corso di un’intervista sul Financial Times Boris Makarenko, presidente del think tank Centre for Political Technologies, «mentre nelle elezioni democratiche ‘classiche’ si hanno regole certe e risultati incerti, in Russia vale esattamente il contrario: cambiano le regole ma i risultati sono sempre gli stessi».