Una campagna originale rispetto alle precedenti, con meno eventi spettacolari, meno trovate spiazzanti, e più incontri con i movimenti sociali e con realtà di mobilitazione. La campagna ha confermato la svolta impressa da Iglesias nel 2°Congresso di Podemos.

Un Congresso di trasformazione, da partito anti-classe politica, mediatico ed elettorale, a forza che cerca legami stabili con movimenti e società civile, più concentrata su temi classici della sinistra (redistribuzione, diritti sociali, lotte del lavoro) che su quello della rigenerazione delle istituzioni e dei partiti.

Il discorso di UP è rimasto un discorso anti-élite, ma le élite attaccate durante la campagna elettorale sono state più quelle economiche che quelle del bipartitismo. Un registro discorsivo che, se non è ancora assimilabile all’anticapitalismo, si avvicina a quello classico delle sinistre radicali, senza rinunciare a una cornice nazionale-popolare che declina il concetto di patria in termini alternativi a quelli della destra. La campagna si è dimostrata efficace nel mobilitare il voto degli elettori più fedeli a Podemos, meno nel convincere settori più ampi di elettorato.

Per Unidas Podemos, le elezioni spagnole sono andate meglio del previsto. La campagna elettorale ha consentito di rimontare due-tre punti percentuali rispetto alle previsioni dei sondaggi. Il Podemos delle elezioni del 2019 è quindi un partito molto diverso da quello delle elezioni politiche del 2015 e 2016. Basta guardare le foto del primo e del secondo congresso. Nella prima, sul palco ci sono i fondatori del partito ed esponenti di culture politiche eterogenee. Nella seconda, dei fondatori è rimasto solo Iglesias, circondato da ex militanti del Partito comunista spagnolo. Non si va lontano dalla realtà se si dice che il Pce e Izquierda Unida non sono solo alleati di Podemos, sono parte del suo nucleo dirigente. È il mondo da cui proviene lo stesso Iglesias, con cui ha polemizzato in modi quasi feroci nella sua prima fase di leadership, e a cui si è riavvicinato. Un’identità che, rimasta silente per motivi strategici, è riemersa col tempo.

È stata questa svolta a provocare la rottura con l’area di Inigo Errejon, ormai fuori dal partito, direttore delle precedenti campagne elettorali e sostenitore di un’idea di partito trasversalista, nazional-popolare e lontana dalla tradizione della sinistra radicale. Secondo Errejòn l’alleanza con IU trasforma Podemos in una IU 2.0, impedendogli di mantenere una posizione di centralità nella dinamica politica.

Errejòn e Iglesias condividono una convinzione, probabilmente confermata dai risultati di queste elezioni: il momento populista, quello in cui le fedeltà politiche tradizionali si rompono e nuove possibilità emergono, in Spagna si è chiuso. Iglesias ha voluto affrontare questa chiusura costruendo un partito di mobilitazione sociale, che però elettoralmente faccia leva sul fatto di essere alleato indispensabile per la formazione di governi di sinistra. Classicamente: un partito di lotta e di governo.

Per Errejòn, la conseguenza della chiusura della fase populista dev’essere invece quella di una ‘competizione virtuosa’ con il Psoe, che accentui il carattere istituzionale e rassicurante del partito.

Si può dire che in questa disputa ci sia molto della fase attuale e delle prospettive di Podemos. Perché c’è un paradosso: per certi aspetti, Podemos è diventata più errejonista senza Errejon. Potremmo chiamarlo il ‘paradosso del socialismo’: mentre accentua il proprio carattere sociale, Podemos insiste, come non aveva mai fatto, sull’alleanza con i socialisti. La retorica si è radicalizzata, la mediatizzazione ha lasciato spazio alla mobilitazione, ma sul piano del posizionamento nel sistema politico ci si è mossi verso la moderazione, senza più contendere al Psoe l’egemonia a sinistra.

Questa eterogeneità di strategie può essere una delle cause che ha portato a perdere un milione e mezzo di voti rispetto alle elezioni del 2016 (in gran parte, proprio verso il Psoe), a cui va aggiunto il milione di voti già perso tra 2015 e 2016. Si tratta di contraddizioni strutturali per ogni sinistra: quelle tra conflitto e governo, leadership mediatica e radicamento, radicalità e istituzionalità. A questo vanno aggiunti gli effetti negativi della questione catalana, il restyling camaleontico di Sanchez come leader di sinistra, e la macchina del fango attrezzata da Partito popolare e media contro Podemos. Con le sue lotte interne, Podemos ci ha messo del suo.

La situazione, ora, consente però di immaginare nuovi spazi di crescita. La volontà del Psoe di governare da solo, senza peraltro argomentare l’esclusione di UP, può diffondere il sospetto, anche tra gli elettorati socialisti, che Sanchez ascolti le richieste delle élite più che quelle degli elettori, fornendo a UP un nuovo terreno di contesa egemonica.