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Per ora lo «Scacchiere» di Corbyn rassicura City e blairiani

Per ora lo «Scacchiere» di Corbyn rassicura City e blairianiMcDonnell e Corbyn al congresso del Labour in corso a Brighton – Pa

Congresso Labour Molto atteso dalla platea di Brighton e non solo, il discorso del potente ministro-ombra dell'Economia John McDonnell si è rivelato molto moderato rispetto alle promesse del neo-segretario alle primarie

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 29 settembre 2015

Dipinto com’era – nel migliore dei casi come gelido Apparatchik esperto di doppiezza e nel peggiore come un bombarolo filo-insurrezionalista -, la scelta di Jeremy Corbyn di affidare il dicastero ombra delle finanze (Cancelliere dello Scacchiere) a uno come John McDonnell è stata unanimemente considerata dai commentatori come un segno di debolezza del segretario nei confronti del cieco demone radicale impossessatosi del Labour.

Questo è stato vero almeno fino a lunedì mattina, quando l’acuminato McDonnell, la cui asciuttezza e puntualità dialettiche surclassano ampiamente quelle del leader, ha preso la parola nel primo intervento davvero importante di questo congresso laburista, il primo dell’anno zero del partito.

E ha subito scontentato chi, per motivi diametralmente opposti, sperava dal suo discorso emergesse una visione capace di trascendere il buon vecchio keynesismo perfetto che prescrive ragionevolmente di curare l’economia prima e pensare al deficit poi: quello che vanno ripetendo da anni legioni di economisti dal volto umano, insomma, alcuni dei più importanti dei quali, come Piketty e Stiglitz, non risulta abbiano gettato pneumatici incendiati contro la polizia, almeno ultimamente (per la cronaca i due, insieme a Mariana Mazzuccato, fanno ora parte del pool di consulenti del partito sull’economia).

Tanto che, a volerla dire tutta, la sua visione economica del Labour di governo non risulta granché dissimile da quella del suo tapino predecessore, quell’Ed Balls un tempo browniano traumaticamente sputato fuori da Westminster dall’uninominale secco alle ultime politiche.

Così, in quello che aveva anticipato sarebbe stato un discorso «mortalmente noioso», McDonnell ha sfoggiato competenza, riflessività e moderazione. Ha parlato da ministro di un partito di governo, teso perlomeno ad attenuare la grande peur del mondo dell’impresa e a sfatare il tabù della propria ineleggibilità.

Con sobrietà, senza le battute e i lazzi che da anni dominano l’oratoria in un congresso il cui tasso di democraticità e partecipazione fattiva era in triste declino, ha respinto le accuse spesso rivolte alla sinistra Labour di essere «negazionisti del deficit». Ha riaffermato l’impegno del partito verso una «crescita dinamica», da ottenersi attraverso la fine degli sgravi fiscali per i ricchi e un maggiore monitoraggio dell’evasione ed elusione fiscale, soprattutto dei giganti digitali.

Ha annunciato una revisione del mandato della Banca d’Inghilterra pur senza minimamente minacciarne l’autonomia, un mandato discusso dal parlamento ormai 18 anni fa. E ha nuovamente teso la mano ai transfughi moderati del partito, scomparsi nelle retrovie dopo essersi ritrovati improvvisamente sotto la guida del «dinosauro» Corbyn.

Assai graditi dalla platea sono stati quei passaggi in cui si è ripromesso di esercitare un controllo più stringente su evasione ed elusione fiscale (anche questo attraverso una ridiscussione del ruolo del ministero dell’economia e delle finanze); quello in cui ha annunciato l’introduzione di un reddito minimo legato all’economia reale e la fine degli sgravi fiscali agli immobiliaristi che lucrano sugli affitti fuori controllo, soprattutto qui a Londra; e quello in cui ha risuggellato l’affinità di spirito e vedute del partito con la sua costola fondativa, il sindacato.

Ha poi invocato un’azione reale per colmare il gap tra le retribuzione maschili e femminili nel mondo del lavoro, in Uk attualmente al 19% e – dulcis in fundo per i moderati – ha commissionato a un funzionario pubblico di rilievo, Lord Kerslake, un rapporto su come migliorare la funzione del Tesoro.

Prudenza invece sul «quantitative easing del popolo» al quale anche il leader aveva ripetutamente fatto riferimento in campagna elettorale: è ancora presto per delinearne i difficili contorni.

Ha poi chiuso con questa frase, tra gli applausi: «Siamo idealisti, sì, ma il nostro è un idealismo pragmatico per fare le cose, per trasformare la nostra società. Rimaniamo ispirati al credo e alla speranza che un altro mondo è possibile. Questa è la nostra opportunità per dimostrarlo. Cogliamola».

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