Sono passati due anni da quel terribile 3 ottobre 2013, quando una strage di proporzioni immani (ma destinata a non essere l’unica né l’ultima) si consumò al largo delle coste di Lampedusa. E sono passati due anni da quando, nella nostra città di Ravenna un gruppo di persone, genericamente afferenti alla Rete Civile contro il razzismo e la xenofobia, decise di chiedersi che cosa fare di concreto per dare una mano al popolo di quell’isola, continuamente provato dall’emergenza eterna degli «arrivi», emergenza che ha messo e mette tanti ostacoli alla vita quotidiana, alla realizzazione di servizi alla persona e al mantenimento di livelli accettabili di vita normale.

Due anni di contatti e di confronti, dai quali è scaturito il progetto del «Salvadanaio Sociale per Lampedusa», la costruzione di un gesto che esprime la volontà di mettersi nei panni dei lampedusani. Ci siamo detti che se noi, a Ravenna, fossimo nelle condizioni dei lampedusani, e dovessimo quindi far fronte (fatte le debite proporzioni) ad arrivi di migliaia e migliaia di disperati in cerca di una speranza, ci farebbe piacere sapere che da qualche parte c’è gente che si chiede di che cosa potremmo avere bisogno.

I contatti e i confronti con Lampedusa, la sua amministrazione comunale e parte della società civile lampedusana, hanno portato a individuare, fra le necessità più urgenti, quella dell’adeguamento strutturale di un centro per persone diversamente abili, di cui la comunità ha bisogno da tempo, ma la cui realizzazione è sempre stata rinviata sotto il peso delle «emergenze».

Con l’adesione di numerose realtà della vita associativa, e con la collaborazione del Comune di Ravenna, è iniziata una raccolta fondi, chiamata, appunto, il «Salvadanaio sociale per Lampedusa», che speriamo riesca a soddisfare rapidamente la richiesta di quanto necessario per la realizzazione del centro, ma che auspichiamo possa continuare anche dopo, individuando, assieme ai lampedusani, nuove esigenze.

La nostra vuole essere non solo testimonianza di solidarietà, ma gesto concreto di una nostra presenza là, sull’isola, al loro fianco. Tanto più ora che di Lampedusa si parla poco. L’attenzione ai fenomeni migratori si è spostata a oriente e all’Europa centrale. Ma l’isola resta lì, a costituire l’avamposto più meridionale dell’Europa, e a misurarsi ogni giorno con i problemi di sempre. E non va dimenticata.

Stanno arrivando molte adesioni, da associazioni di volontariato, comuni, centri sociali per anziani, realtà sindacali e culturali. Come recitava un vecchio detto capitiniano «ad ognuno di fare qualcosa», o come ebbe a dire Madre Teresa di Calcutta «l’oceano è fatto di tante gocce».

A Ravenna, la sera di venerdì 9 ottobre, si terrà un’importante iniziativa, finalizzata a riempire il «Salvadanaio Sociale». Un grande musicista, il chitarrista Giandomenico Anellino, porterà la sua «Chitarra d’Autore» al Teatro Rasi, a testimonianza di come il mondo dell’arte possa mettersi a disposizione della solidarietà e dell’aiuto disinteressato. Il nostro desiderio è che, quella sera, ogni persona che parteciperà, da sola o in forma organizzata, uscisse dal teatro non solo con la consapevolezza di aver contribuito ad un evento “di beneficienza”, ma soprattutto con l’urgenza di rimboccarsi le maniche e produrre a sua volta qualche cosa per dare forza al progetto in sé e alla solidarietà in generale. Perché, oggi più che mai, Lampedusa siamo anche noi. Tutte e tutti noi.

Pippo Tadolini, Rete Civile contro il razzismo e la xenofobia di Ravenna