Il conto alla rovescia, e stavolta non è un’espressione metaforica, segna ormai -30 giorni al fatico 29 maggio, ore 2.32 del mattino (ora locale di Baikonur, Kazakistan), il momento in cui inizierà la missione Volare. Una missione che è particolarmente significativa per l’Italia e per tutti gli appassionati dell’astronautica: Luca Parmitano (Paternó, 1976) sarà il più giovane astronauta europeo a mettere piede sulla Stazione spaziale internazionale (Iss). “Sono contento ed emozionato per la tirata finale”, dice Luca, che sta affrontando l’ultimo blocco di esami nella Città delle Stelle, vicino Mosca, per poi spostarsi verso l’ex base spaziale sovietica di Baikonur, dove due settimane prima del lancio inizierà la quarantena. “Qui è esplosa la primavera con ben nove gradi. Devo essere l’unico siciliano al mondo che cammina a maniche corte in mezzo alla neve”.

Luca è entrato nel Corpo astronauti europeo dell’Agenzia spaziale europea (Esa) nel 2009, dopo aver superato una durissima selezione. C’erano 8000 candidati per coprire sei posti in tutta Europa: dei sei che entrarono, due erano italiani. La seconda, Samantha Cristoforetti, unica donna attualmente in forze al corpo astronauti europeo, volerà alla fine del 2014.

Luca Parmitano
Nella vita ci sono solo due modi di fare le cose: o bene, o male

Luca si definisce un po’ nerd. “Non è che fossi proprio secchione”, dice, “da piccolo più che altro mi piaceva fare di tutto. Andavo bene a scuola, perché i miei genitori mi hanno insegnato che ci sono solo due modi di fare le cose: o bene, o male. Ma mi piaceva anche lo sport, suonavo il basso e recitavo in una compagnia amatoriale”.

Quando hai deciso di fare l’astronauta?

A 19 anni mi piaceva volare, per cui sono entrato in Accademia Aeronautica. E da lì ho continuato a fare quello che mi piaceva, arrivando a essere pilota collaudatore-sperimentatore dell’Aeronautica militare, mi sono laureato in scienze politiche e ho anche un master in Flight Test Engineering. Non c’è un vero e proprio percorso per diventare astronauta, era un sogno che mi ha accompagnato sempre. Ho avuto la fortuna di arrivarci, ma ho sempre cercato di essere contento con quello che ero riuscito a ottenere fino a quel momento. Sono sicuro che se non fossi arrivato qui, sarei stato soddisfatto del mio lavoro di pilota.

È quasi arrivato il momento in cui il sogno si trasforma in realtà. C’è più paura o più sollievo?

Né l’uno né l’altro. Nel senso che anche se la preparazione è durata tanti anni ed è stata molto dura – un astronauta deve essere pilota, navigatore, ingegnere, idraulico, sperimentatore e persino cavia degli esperimenti – io ho sempre cercato di godermi ogni momento. In maniera quasi ostinata io mi sveglio la mattina e mi dico: oggi farò una cosa che non ho ancora mai fatto, e che molta gente pagherebbe per poter fare. I sacrifici sono compensati dalla grande soddisfazione. E non c’è ‘paura’: è più una specie di tensione emotiva legata al fatto che uno non sa mai come reagirà il proprio corpo allo spazio, non sai come si comporterà il tuo organismo in una situazione per cui ti sei allenato centinaia di volte ma che quando arriva sul serio è sempre un po’ imprevista.

Impari ancora cose nuove nella tua routine?

Quando sei lassù, in orbita a 400 km da terra non è che puoi tornare a casa se sorge qualche problema. Devi fare tutto da solo, devi avere la conoscenza di qualsiasi elemento della Stazione spaziale. Per cui da studiare c’è moltissimo. E ci sono centinaia di situazioni che puoi simulare, quindi l’addestramento è sempre una novità. Gli istruttori sono bravissimi a creare situazioni complesse e nuove. Di fatto, ogni simulazione è come un avanzatissimo videogioco. Solo che il videogioco ce l’hai attorno. Sono situazioni davvero molto realistiche, a parte l’impossibilità di simulare l’assenza di gravità. Nelle simulazioni di situazioni di emergenza, certe volte c’è addirittura il fumo per simulare l’incendio a bordo, o se c’è una depressurizzazione ti si gonfia anche la tuta, una vera tuta spaziale, come succederebbe davvero.

Lo shuttle Endeavour e il modulo europeo Atv Keplero agganciati alla stazione spaziale internazionale. Foto Esa/Nasa
Lo shuttle Endeavour e il modulo europeo Atv Keplero agganciati alla stazione spaziale internazionale. Foto Esa/Nasa

Giusto per avere un’idea, che tipo di esami stai facendo in questi giorni?

In questa missione sono il co-pilota (il nome tecnico è ingegnere di bordo 1). Un esame particolarmente entusiasmante è quello del docking manuale (l’‘agganciamento’ fra il modulo Soyuz e la Stazione spaziale, ndr), due ore di esame. Tu sei al comando della tua astronave e devi avvicinarti alla stazione con manovre precise e ristrette e in tutte le condizioni possibili. Lo simuliamo in diurno, notturno, in modalità analogica e digitale e poi in situazione di emergenza. Un altro esame si svolge in una centrifuga e simuli il rientro a terra: hai i comandi della Soyuz e devi portare la navetta in un atterraggio sicuro e preciso (entro 10 km da un punto sulla terra) e non puoi superare un numero massimo di g (accelerazione, ndr). È più difficile di quello che sembra: il rientro avviene entrando in atmosfera, la navetta si surriscalda e diventi una specie di proiettile. Un piccolo errore nell’assetto può farti iniziare a ruotare senza controllo. E se sbagli il punto di arrivo, finisci in un punto difficilmente raggiungibile del deserto kazako e magari rimani chiuso nel modulo per ore prima che arrivino i soccorsi. Un altro esame lo fai assieme al comandante, nel mio caso il russo Fyodor Yurchikhin: è un avvicinamento fra la stazione e la navetta, partendo da una distanza pochi chilometri (con una velocità iniziale relativa di 6m/s). Qui si simula che non funziona il computer di bordo. Io controllo un laser ranger, un distanziometro che mi permette di fare il calcolo velocità/distanza e do al comandante queste misure per permettergli di fare le manovre necessarie. In Russia la cosa curiosa è che questi esami sono molto formali, con la commissione che ti osserva, con estrazione della busta e altre tradizioni. In Usa, Giappone, Canada gli esami che ho fatto sono molto più informali: sono due anni e mezzo che faccio queste cose, non è certo quello il giorno in cui dimostro se sono capace di fare il mio lavoro.

Sei mesi sono lunghi. Fra le molte attività che svolgerai, anche la più amata dagli astronauti: ben due passeggiate spaziali (o extra vehicular activity).

È vero, sono contentissimo, sono attività prestigiose e delicate, per me sono un regalo e un privilegio. Saranno di circa sei ore e mezzo ciascuna: una servirà per preparare la Stazione per l’arrivo di MLM (Multipurpose Laboratory Module), un modulo russo chiamato anche Nauka, che arriverà alla fine dell’anno. E la seconda servirà per recuperare degli esperimenti che sono collocati all’esterno della stazione per poterli riportare a terra affinché gli scienziati li possano esaminare. Una parte del lavoro consisterà anche in manutenzione della parte esterna della stazione. E poi per le passeggiate spaziali dei colleghi russi sarò responsabile della chiusura e apertura delle valvole dei portelli stagni per isolarli.

Poi dovrai accogliere molti moduli in arrivo.

[do action=”quote” autore=”Luca Parmitano”]”C’è poca attenzione all’industria aerospaziale, che è un vero punto di forza del nostro paese. Sono certo che la nuova ministro Carrozza dimostrerà supporto e interesse per lo spazio e la ricerca”[/do]

Sì, innanzitutto, l’Atv4, un modulo europeo su cui l’Esa sta puntando molto per il futuro. Sarò il primo operatore. Ma poi arriverà anche il primo demo di Cygnus. Come l’Atv e il giapponese Htv (l’Htv4 sarà un altro dei veicoli di cui occuperò), anche l’americano Cygnus è uno dei moduli trasportatori su cui si sta puntando per l’epoca post-Shuttle. Quando Cygnus sarà agganciato alla stazione, sarà un momento importante per l’Italia. Fra il Nodo 2, il Nodo 3, la Cupola, il Columbus, il Pmm, tutti di costruzione italiana, quando arriva l’Atv, pure costruito in Italia e il Cygnus, il cui modulo pressurizzato è ancora made in Italy, più del 50% del volume abitabile della Stazione sarà costruito in Italia. Grazie a questa collaborazione dell’Agenzia spaziale italiana con la Nasa si sono aperte opportunità di volo uniche per gli astronauti italiani. C’è poca attenzione all’industria aerospaziale, che è un vero punto di forza del nostro paese. Sono certo che la nuova ministro Carrozza dimostrerà supporto e interesse per lo spazio e la ricerca, perché questo è il momento migliore per investire in innovazione, tecnologia e futuro e perché sono fonte di prestigio, introiti, lavoro e ispirazione per i giovani laureati.

Un nerd come te non dimenticherà di parlarmi degli esperimenti scientifici.

In effetti, fra i tanti esperimenti che sarò impegnato a svolgere, ce ne sono un paio che trovo particolarmente interessanti. Uno si chiama Green Air, che consiste nel bruciare dei biocombustibili: è interessante perché a bordo della Iss non si brucia quasi mai niente perché è molto pericoloso. È un esperimento italiano che serve per studiare come ridurre al massimo le emissioni tossiche di biocombustibili. E poi ce n’è uno che mi piace perché ha delle applicazioni sociali importanti. La nostra spina dorsale in assenza di peso si deforma. Noi sperimenteremo un software e una metodologia per fare una diagnostica utilizzando solo l’ecografia anziché la risonanza magnetica, che usa macchine più care e voluminose. Se riuscissimo a far bastare l’ecografia, sarebbe molto più semplice portare la macchina in luoghi disagiati e remoti.

Come racconti alle tue bimbe il tuo lavoro?

Mia figlia Sara ha sei anni e capisce tutto: per cui cerco di spiegarle che sarò via per sei mesi, che è un lavoro importante, le parlo dell’esplorazione e del futuro. Lei capisce che è un lavoro insolito, sono anche andato a scuola per raccontare ai suoi compagni cosa faccio. Sapessi che domande! Come spieghi a dei bambini come si vola sulla stazione? Mia figlia Maia ha invece solo tre anni: con mia moglie e con le bimbe cerco di passare negli Stati Uniti almeno un mese ogni tre.

Sei competitivo?

La competitività in realtà è soprattutto con te stesso: non è importante che sia il migliore in tutto, certe volte altri saranno più bravi di te. L’importante è essere il migliore che tu riesci a essere.