Per «The Economist» il 2015 sarà l’anno dei freelance. Il settimanale britannico dedica la copertina, l’editoriale e un’inchiesta di quattro pagine ai lavoratori indipendenti e al loro, problematico, rapporto con l’economia «on demand» negli Stati Uniti e in Europa. Si tratta di un’economia che ricorre in maniera sistematica ai lavoratori indipendenti in tutti i campi, da quello «Hi-tech» a quello dei servizi, ad esempio le pulizie domestiche. Oppure alla mobilità urbana, con il rinomato e contestatissimo modello dei taxi «Uber». Sergio Bologna in una nota pubblicata sul sito di Acta, fa notare che il settimanale neo-liberale e capitalista ha scelto un approccio prudente rispetto a questo uso dei freelance, spesso oltre il limite dello sfruttamento. «La conclusione – aggiunge Bologna – sembra scritta apposta per Renzi: i governi debbono misurare l’occupazione e i redditi in maniera diversa, debbono mettere mano a una riforma dei sistemi previdenziali, i contract workers non avranno mai una pensione, non hanno avuto la possibilità di costruirsela. Molti sistemi fiscali in Europa trattano i freelancers come cittadini di seconda classe».