Nervosamente, Donald Trump si avvia al disastro. Questa sera ci sarà il secondo dibattito fra Trump e Clinton ed è prevedibile che il candidato repubblicano sarà costretto pesantemente sulla difensiva: il tema del giorno è lui e non il bilancio dell’amministrazione Obama oppure ciò che Hillary ha fatto, o non fatto, come segretario di Stato. Mancano solo 30 giorni alle elezioni e, in molti stati, in realtà si sta già votando. In ogni caso, l’idea che i cittadini si sono fatti dei due candidati è consolidata e attende solo di esprimersi nel voto dell’8 novembre. Il video che rivela l’atteggiamento di Trump verso le donne è solo la ciliegina sulla torta di Hillary Clinton. Non a caso il partito repubblicano è nel panico per le conseguenze che le provocazioni di Trump verso le donne avranno sugli altri candidati in lizza: senatori, deputati e governatori.

Bisogna ricordare che l’elettorato americano è largamente «femminilizzato» da parecchi decenni: la percentuale di voti validi espressa dalle donne oscilla fra il 52% e il 57% almeno dagli anni Settanta. Questo significa che inimicarsi la maggioranza degli elettori difficilmente può essere una buona idea, anche se ai sostenitori duri e puri di The Donald le battute da spogliatoio maschile possono piacere.

Trump, nel suo ridicolo machismo, è ancora più sfortunato perché, come si sa, il candidato dei democratici è, per la prima volta nella storia, una donna. Una donna che a molti non piace, ma che comunque attrae un elettorato femminile il quale, da oltre mezzo secolo, ha sempre votato per i candidati democratici più di quanto non abbiano fatto gli uomini. Perfino negli anni peggiori per il partito, come il 1972, le donne hanno votato in misura consistente per il candidato democratico alla presidenza.

Se nel 1968 il cosiddetto gender gap a favore dei democratici fu di soli due punti percentuali, nel 1972 era 7 punti, nel 1980 era 8 punti e, nel 1996, le donne americane dimostrarono di stravedere per Bill Clinton, regalandogli addirittura il 65% dei voti, contro un modesto 51% raccolto fra gli elettori di sesso maschile. In anni più recenti, Obama ha ottenuto regolarmente 5 punti percentuali in più fra le donne che fra gli uomini, un vantaggio che diventava percentuali bulgare tra le donne giovani, non sposate e che lavorano.

Quest’anno Hillary Clinton ha molte difficoltà con l’elettorato giovanile nel suo complesso, che nel 2008 e nel 2012 plebiscitò Barack Obama. Un po’ crudelmente, alla serata satirica del Gridiron club con la stampa di Washington, Obama ha paragonato la popolarità di Hillary tra i giovani alla posizione delle nonne e delle prozie che vogliono stare su Facebook e poi chiedono ai nipoti dieci volte al giorno quale icona devono cliccare per pubblicare la foto dei nipotini. Dopo la fallita mobilitazione a favore di Bernie Sanders nelle primarie, molti trentenni sono adesso tentati dal votare per la candidata dei verdi Jill Stein, oppure dall’astensione: il nastro registrato di Trump spedirà non solo le ragazze, ma tutte le donne che hanno meno di 60 anni a votare per Hillary.

A questo si aggiunge il fatto che i votanti con la laurea, ai tempi di Bill Clinton circa il 20%, sono ora circa il 30%, e fra questi la maggioranza sono donne. Nel 1992, il 54% degli elettori attivi aveva solo la maturità o, spesso, neppure quella: quest’anno saranno meno del 40%. E il rapporto tra maggiore livello di istruzione e voto per i democratici è particolarmente forte. La Brookings institution aveva calcolato già in agosto che circa il 60% delle donne bianche con educazione universitaria dovrebbe votare per Hillary, una differenza di oltre 4 milioni di voti a favore del candidato democratico, a cui si aggiunge, naturalmente, il vantaggio di cui Clinton gode fra afroamericani, ispanici e asiatici, tre minoranze dove si aspetta di raccogliere il 75% dei consensi.

L’autodistruzione di Donald Trump quindi prosegue e le possibilità di vittoria del candidato repubblicano, salite fino a uno stupefacente 45% in settembre, sono tornate ai livelli di agosto, cioè attorno a un miserevole 18%. Resta da vedere se il vantaggio di Hillary tirerà la volata anche ai candidati democratici in Congresso.