Il dottor Mario Canciani, con riferimento agli studi più recenti, non ha dubbi: «Abbiamo la conferma che il cambiamento climatico fa la differenza anche nel campo delle allergie». Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche e di una trentina di libri, si dedica da 40 anni allo studio e alla cura delle malattie allergiche e delle patologie dell’apparato respiratorio.

I pollini sono diventati più aggressivi a causa dei cambiamenti climatici?

Negli ultimi venti anni la stagione dei pollini si è allungata e, di conseguenza, dura più a lungo la stagione delle allergie, con i pazienti che soffrono di disturbi maggiori. Uno studio recente, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, basato sulle rilevazioni effettuate da 60 stazioni di monitoraggio sparse nel nord America, evidenzia che tra il 1990 e il 2018 la stagione dei pollini ha avuto un anticipo di 20 giorni e si è allungata di 10. Inoltre, nello stesso periodo, la quantità di polline è aumentata del 21%. Le maggiori variazioni si sono registrate a partire dal 2003. Tutto questo è la conseguenza dell’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e di temperature medie più elevate. Le piante stanno subendo un’alterazione del ciclo vegetativo con un allungamento dei periodi di pollinazione. Una dimostrazione rilevante di come il cambiamento climatico incide sulla salute delle persone, che si trovano più esposte alle allergie.

Quali conseguenze ha questo aumento delle allergie respiratorie?

In presenza di un allungamento della stagione dei pollini e un aumento della loro concentrazione nell’aria che respiriamo, diventa necessario un prolungamento delle cure e si devono utilizzare associazioni di più farmaci. Non riusciamo più a gestire i sintomi con un semplice antistaminico, ma bisogna ricorrere a farmaci sempre più potenti, soprattutto quando insorge asma bronchiale, la forma più pericolosa.

Quali sono le fasce d’età più esposte?

Sono i bambini i più colpiti e si è anche abbassata l’età media. Se un tempo i primi sintomi si manifestavano negli adolescenti, ora i problemi di allergia si presentano già a 7-8 anni. Nella maggior parte dei casi si manifesta una rinocongiuntivite, ma in un 10% si riscontrano forme asmatiche. Col passare degli anni i sintomi sono sempre più fastidiosi e diventa necessario ricorrere più spesso ai vaccini per controllare le reazioni, utilizzando anticorpi proteggenti che impediscono agli anticorpi dell’allergia di agire.

Allergici si nasce o si diventa?

Si nasce. C’è la predisposizione dell’organismo a reagire nei confronti di alcune sostanze. L’allergia si trasmette con lo stesso meccanismo del colore degli occhi. Si tratta di un carattere autosomico recessivo. Già alla nascita c’è qualche segnale che indica che nel bambino può comparire l’allergia. Essendo un carattere recessivo può saltare 1-2 generazioni e ripresentarsi successivamente.

Quali sono le famiglie vegetali che preoccupano di più per i pollini?

Al nord e centro Italia sono le graminacee, che si fanno particolarmente sentire nel periodo aprile-giugno e con una coda nelle prime due settimane di settembre. Al sud e in Liguria è la parietaria a dare problemi per la maggior parte dell’anno. E poi c’è l’emergenza ambrosia. Questa pianta, arrivata in Europa col Piano Marshall (i suoi pollini si trovavano nel tessuto dei sacchi di juta che contenevano le derrate alimentari), ha trovato un ambiente favorevole nelle le colline del nord Italia, colonizzando vasti territori, per poi estendersi ad alcune aree del centro Europa. Si tratta di una pianta molto infestante, difficile da arrestare perché non ha nemici naturali, con un polline aggressivo che causa nel 10% dei casi forme anche gravi di asma bronchiale.

Cosa ci può dire sulle reazioni crociate tra pollini e alimenti?

La frutta e la verdura hanno comunanze con i pollini. Nei periodi di massima esposizione ai pollini è necessario avere alcuni accorgimenti alimentari. Chi è allergico alle graminacee ha spesso problemi col pomodoro, ma anche con melone, anguria, arance, kiwi, pesche. Chi manifesta allergia alle betulle può avere problemi con mele, pere, albicocche, banane. Non si tratta di vere e proprie allergie, ma di sindrome orali-allergiche. In alcuni casi è possibile trattare gli alimenti per favorire la degradazione degli allergeni.

In che misura l’inquinamento atmosferico aggrava le allergie da polline?

I pollini si legano agli inquinanti (polveri sottili, ossidi di azoto e zolfo) e diventano dei super allergeni. E’ nelle città inquinate che i pollini allergizzanti manifestano una maggiore aggressività. I contadini, pur vivendo a contatto diretto con la vegetazione, respirano in genere aria più pulita e hanno meno problemi. Come Associazione di medici per l’ambiente abbiamo partecipato a un gruppo di lavoro che ha rilevato per due anni le concentrazioni di pollini e inquinanti atmosferici in sei città europee. Abbiamo rilevato che queste miscele di pollini, gas e polveri sono una grave minaccia per la salute. I super allergeni rappresentano uno degli ambiti di maggiore impegno nel campo dell’allergologia e delle malattie respiratorie. Per questo il monitoraggio aerobiologico è strumento fondamentale per valutare la qualità dell’aria.

Si è cercata una relazione tra l’elevata mortalità da Covid 19 in pianura Padana e l’inquinamento atmosferico.

I dati sono contrastanti, anche se alcuni ricercatori hanno trovato una correlazione. Sicuramente l’inquinamento atmosferico è responsabile del 30% di infarti, ictus ed emorragie cerebrali. Sono 100 mila le persone che ogni anno in Italia muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento. Più o meno lo stesso numero del Covid, ma questo succede da 30 anni e non fa scalpore, passa sotto silenzio.