C’è molta allegria fra le spagnole e gli spagnoli per essersi liberati di Rajoy e del corrottissimo partito popolare. A nulla sono serviti i numerosi appelli con cui da più parti si invocava la stabilità, per non pregiudicare la crescita spagnola. È fallito anche il tentativo di Ciudadanos che voleva le elezioni anticipate, spingendo Rajoy alle dimissioni, per evitare la nascita del nuovo governo e capitalizzare la crisi del Pp.

È insomma risultato chiaro che la priorità era disinquinare e risanare le istituzioni. Il fetore che emanava il Pp e il suo presidente, dopo la sentenza Gurtel, ha prevalso su ogni altra resistenza e spinto, non solo Unidos Podemos, ma anche i partiti indipendentisti catalani o i nazionalisti Baschi a sfiduciare il governo del Pp.

L’ironia con cui i social annunciano l’uscita dai palazzi del governo, la famosa Moncloa, di Rajoy, nasconde anche tanta preoccupazione e paura che la cacciata dei corrotti non garantisca nessun cambiamento e passata l’ondata di indignazione generale tutto resti così com’è.

Al di la dei sentimenti contrastanti è indubbio che l’uscita di scena di Rajoy rappresenta segnale in controtendenza, in una Europa che ad ogni elezione va sempre più a destra.

Sicuramente un messaggio che dovrebbe dare coraggio a quella sinistra che non si rassegna all’idea che per combattere la nuova destra autoritaria, guerrafondaia e razzista, che sta prendendo piede, si debba solo difendere la pessima Europa che c’è. Che l’unico orizzonte possibile è quello rappresentato dalla Merkel o Macron o Draghi. Il piccolo spazio che si è aperto ieri, potrebbe chiudersi molto rapidamente se Sanchez e il partito socialista spagnolo, incassato il voto, puntassero a una navigazione di basso profilo, attenta a non urtare la eterogenea maggioranza che li ha spinto al governo.

Questa maggioranza per vincere la prova elettorale, che prima o poi verrà, deve riuscire a costruire politiche in grado di modificare i rapporti di forza sociali ed elettorali, che ancora sorridono alle destre, che da tempo hanno deciso di consolidare la propria egemonia puntando su Ciudadanos.

Insomma non basta avere cacciato Rajoy e il Pp dal governo, ora serve liberarsi delle politiche che le destre hanno imposto alla Spagna. In altre parole in questi due anni che mancano vanno messe in campo politiche in totale discontinuità rispetto a quelle praticate da Rajoy e Ciudadanos. Solo così non solo si garantirà, che il governo Sanchez riesca ad arrivare alla fine della legislatura, ma soprattutto si saranno costruite possibilità per le sinistre di vincere le prossime elezioni.

La sola idea di mantenere una sorta di equidistanza fra Unidos Podemos e Ciudadanos o pensare che basti l’offerta di dialogo alle forze indipendentiste per strappare nuovamente il loro voto nei prossimi mesi, chiuderebbe lo spiraglio che si è aperto, aprendo una crisi irreversibile del Psoe e più in generale togliendo ogni credibilità all’idea di coistruire una alternativa di sinistra in Spagna.

Il primo banco di prova a cui Sanchez è chiamato è come decide di fare il governo: coinvolgendo Unidos Podemos come richiestogli da Iglesias o darà retta a Felipe Gonzales che lo spinge verso Ciudadanos, chiedendo elezioni anticipate? In poche parole Sanchez dovrà affrontare un duro fuoco amico per imporre la necessaria discontinuità rispetto alle politiche del Pp e di Ciudadanos. Solo l’unità con Unidos Podemos può trasformare in politiche concrete l’impegno annunciato da Sanchez che il suo governo darà priorità alla lotta al patriarcato, che le straordinarie mobilitazioni delle donne spagnole hanno imposto come tema decisivo del cambiamento.

La stessa agenda sociale, redistribuzione del reddito, lotta al precariato, rilancio delle prestazioni fondamentali dello stato sociale, a cominciare dalla sanità e scuola pubblica, acquisterebbero credibilità e forza se a perseguirle fosse un governo in cui fosse pienamente coinvolto Unidos Podemos. La stessa promessa di abolire la ley mordaza che ha messo in discussione libertà fondamentali sarebbe più credibile con un governo allargato a Unidos Podemos.

Infine c’è il nodo territoriale e la questione catalana. Pensare che l’offerta di dialogo possa garantire che le forze indipendentiste catalane o i nazionalisti Baschi continueranno ad appoggiare il nuovo governo è un’illusione pericolosa. Li si convincerà solo se partirà una proposta di riforma della costituzione, che trasformi in norme l’idea di una Spagna plurinazionale, rompendo la polarizzazione in cui è stata spinta la questione catalana, sia dalle dichiarazioni unilaterali di indipendenza dei secessionisti, sia dalla reazione repressiva e centralizzatrice del Pp e soprattutto Ciudadanos.

Le prime mosse del nuovo presidente faranno capire se lo spazio che si è aperto si allargherà o chiuderà.