Dopo anni di scelte sbagliate, in linea con i governi sovranisti e le destre xenofobe, l’accoglienza dei profughi afghani potrebbe essere l’occasione per l’Ue, per le forze democratiche europee, per un cambio di direzione. L’occasione giusta per imboccare una strada coerente con la Carta Europea dei Diritti e con le convenzioni internazionali.
Le dichiarazioni di Di Maio sull’impegno italiano a mettere in salvo 2500 afgani sono imbarazzanti, se pensiamo alla dimensione della crisi e alle nostre responsabilità.
Il premier canadese, per citarne uno, ha dichiarato subito che il suo Paese è pronto ad ospitarne 20 mila. Il Canada ha poco più della metà della popolazione italiana. L’Italia e l’Ue dovrebbero per lo meno impegnarsi in uno sforzo paragonabile a quello del Paese del nord America.

Il numero minimo per l’Ue dovrebbe essere 250 mila persone da accogliere nel territorio dei 27 Paesi, considerando la gravità della crisi e quanto già oggi afghani e altri gruppi obbligati a lasciare le loro case pesino sul resto del mondo e non sull’Europa, che fa di tutto per impedire a rifugiati, profughi e sfollati di arrivare alle nostre frontiere per esercitare il diritto di asilo.

250 mila persone da evacuare (meglio non usare la formula dei corridoi umanitari, come è già stato scritto sul manifesto, attivati volontariamente da organizzazioni religiose, per non ingenerare confusione sulla responsabilità di accogliere, che deve essere degli Stati) in sicurezza, con l’obiettivo di metterne in salvo anche molte di più se sarà necessario, senza aspettare che i sentimenti di preoccupazione e solidarietà svaniscano, per poter così uscirne con poco o nessun impegno concreto, come sembrano voler fare molti dei leader dei partiti e dei governi europei.

Ci vogliono atti concreti e non parole vuote o dichiarazioni di principio, né tanto meno la riproposizione cinica, come nel caso del capo della diplomazia europea Borrell, che dobbiamo fermarli prima che arrivino alle nostre frontiere e scaricarli sui Paesi limitrofi, per accogliere al massimo i collaboratori dei vari paesi.
Lo strumento per intervenire c’è ed è la Direttiva europea n.55/2001 sulla protezione temporanea.
Uno strumento legislativo che può essere attivato a maggioranza e non necessita dell’unanimità (quindi i governi contrari, i sovranisti e i loro amici, potranno farsene una ragione), ma di coraggio e intelligenza politica.

La Direttiva parla di afflusso massiccio o di imminente afflusso massiccio (parla di persone che sono state evacuate, quindi prevede il sistema dell’evacuazione), e ha l’obiettivo di concedere la protezione temporanea ai profughi e di promuovere l’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri. La Direttiva prevede altresì una copertura finanziaria dell’Ue e una stretta collaborazione con Unhcr.

Si può realizzare quindi una operazione di evacuazione europea, con risorse comunitarie e un piano di ripartizione adottato congiuntamente dagli Stati membri.
Se si vuole davvero fare qualcosa di concreto, e farlo come Unione europea, per evitare che le persone in fuga dai talebani si mettano nelle mani dei trafficanti e rischino a vita (o per lo meno per tentare di ridurre il danno), la Direttiva andrebbe attivata con urgenza: sarebbe la prima volta e darebbe davvero un bel segnale, anche se dubitiamo che i governi europei saranno in grado di fare scelte giuste e lungimiranti.

Il Patto europeo su Immigrazione e Asilo va esattamente nella direzione opposta. Il rischio concreto è che si perseguano le politiche e gli obiettivi delle destre, esprimendo grande solidarietà verso le donne e condanna contro i talebani, ma poi adoperandosi concretamente affinché quelle donne, insieme a uomini e bambini, restino dove sono a subire violenze e a vedere calpestata la loro dignità o che, se va bene, riescano a trovare asilo nel vicino Iran o in Pakistan. Le forze politiche e l’Ue devono decidere da che parte stare. La crisi afghana è l’occasione giusta per farlo.