Cinema indipendente, cinema afroamericano, cinema di genere, la prima volta per un doc italiano e per un servizio di streaming, la ventesima per Meryl Streep, il grande ritorno di Mel Gibson. Ma soprattutto il musical, con un record di nomination -14- che ci riporta ai tempi d’oro del monopolio degli Studios (Eva contro Eva, 1950) e a Titanic, La La Land, domina la corsa alla statuetta di quest’anno. Non molte le sorprese – ci si aspettava che il film del 32enne Damien Chazelle fosse uno dei favoriti – ma ci sono alcuni dati interessanti; a partire dalla forza ormai consolidata del circuito di produzione/distribuzione indie per cui, tra i nominati per il miglior film (Arrival, Hacksaw Ridge, La La Land, Il diritto di contare, Barriere, Manchester By The Sea, Lion, Moonlight e, a sorpresa, Hell or High Water) solo tre sono film distribuiti e dalle Majors. Di quei tre, due, Barriere e Il diritto di contare, insieme a Moonlight, rappresentano la volontà di un forte correttivo a seguito della tempesta #OscarSoWhite scatenatasi sull’Academy l’anno scorso.

La presenza afroamericana è infatti molto pronunciata anche nelle categorie degli attori (Denzel Washington per il miglio protagonista e Viola Davis per la miglior non protagonista, in Barriere; Ruth Negga per Loving; Mahershala Ali, Naomie Harris e Octavia Spencer migliori non protagonisti, in Moonlight e Il diritto di contare) e soprattutto nel documentario con I Am Not Your Negro di Raoul Peck, OJ: Made in America, di Ezra Edelman e il molto meno interessante The 13th, di Ava Du Vernay.

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Nella categoria della non fiction i film di Peck e Edelman saranno gli avversari più temibili di Fuocoammare, di Gianfranco Rosi scalzato tra i migliori film stranieri da un danese (Land of Mine), uno svedese (A Man Called Ove), un australiano (Tana) e dalla macchina da guerra della Sony Classics (che distribuisce Toni Erdmann, probabile vincitore della categoria, e l’iraniano Il cliente), ma molto amato dalla critica Usa. Con nomination in tutte le categorie principali (miglior film, regia, sceneggiatura originale, fotografia, attore e attrice protagonisti, canzone e colonna sonora), ma anche in quelle più «tecniche» (montaggio e mixaggio sonori, scenografia, costumi e montaggio), in genere appannaggio delle grosse produzioni da Studio, La La Land, prodotto dall’indipendente Lionsgate è non solo un omaggio a Hollywood ma anche alla sua tradizione e alla creatività del mix di arte e artigianato industriale specifica del DNA del cinema americano. Di qui arriva in parte il suo potere unificante (l’Academy ama i film che riflettono la diversità del «lavoro» del cinema).

Ma, dietro alle quinte, agli autori cinefili e ai votanti di vecchia data, non è sfuggita la limpida impunità con cui Chazelle ha rivisitato uno genere considerato da naftalina, come il musical, che arriva sugli schermi senza la prevendita assicurata dal un successo di Broadway.

Premiata l’impunità anche nel caso di Hell or High Water, il neo western con depressione di David Makenzie, nominato (un po’ a sorpresa) come miglior film e sceneggiatura, di Taylor Sheridan. Mentre il tour de force bellico Hacksaw Ridge, grandi incassi nelle sale Usa, con 6 nomination (tra cui miglior film, regia e attore protagonista), segna la riabilitazione hollywoodiana del cinema popolare, sanguinario, di Mel Gibson – anche se, nel presente clima culturale, in vista della cerimonia del 26 febbraio prossimo, il nemico più pericoloso di La La Land rimane Moonlight, il film dell’afroamericano della Florida Barry Jenkins, che ha ricevuto 8 nomination (tra cui anche miglior regista, montaggio, sceneggiatura non originale, colonna sonora) e che ufficializza l’entrata in scena della A24, il piccolo ma geniale distributore newyorkese che lo ha anche prodotto.

Tra i grandi esclusi, Sully di Clint Eastwood, Paterson di Jim Jarmush (ma Amazon ha puntato tutto su Manchester By the Sea), Amy Adams (per Arrival o, meglio ancora, Animali notturni) e Silence di Scorsese, nominato solo per la miglior fotografia.