Sono tre i modi attraverso i quali il governo intende affrontare il calo delle nascite registrato dal rapporto Istat «Natalità e fecondità»: meno 45 mila in tre anni, meno 15 mila in uno tra i 2016 e il 2017. Ci sono il famigerato emendamento alla legge di bilancio (il «terzo figlio in cambio di terreno gratis») e il «Bonus Bebé», introdotto da Berlusconi nel lontano 2006, che sarà rifinanziato con 444 milioni. Ieri il ministro leghista alla famiglia Lorenzo Fontana ha annunciato un «Codice natalità». Si tratterebbe di un ripensamento delle politiche sulla «famiglia, fisco, lavoro, salute, welfare, formazione nell’ottica di un reale supporto alla natalità e alla genitorialità». Fontana ha legato il progetto al «contratto di governo» tra Lega e Cinque Stelle.

IN REALTÀ, IL SACRO TESTO è lacunoso, come spesso accade su molti temi. Parla di «politiche efficaci per la famiglia»; conciliazione tra vita e lavoro; innalzamento dell’indennità di maternità; un premio alle donne che «concludono la maternità e rientrano al lavoro»; «sgravi contributivi per le imprese che mantengono al lavoro le madri dopo la nascita dei figli»; Iva «agevolata» per prodotti neonatali, rimborsi per asili nido e baby sitter, «fiscalità di vantaggio». In attesa di maggiori dettagli, l’impostazione resta la stessa del passato. Invece di rafforzare i servizi sociali pubblici, e trasformare lo Stato sociale in senso universalistico, non più familistico, si prospettano politiche di sostegno alla genitorialità frammentate in molteplici erogazioni monetarie, ispirate al modello assistenzialistico che delega la cura alla famiglia e, in particolare, alle donne. Invece di responsabilizzare l’impresa, e nel caso penalizzare chi licenzia o non rinnova i contratti a causa di una maternità, lo Stato si limita a premiarla con un sgravio fiscale.

IL RAPPORTO ISTAT ha spinto i Cinque Stelle a declinare il sussidio di povertà detto impropriamente «reddito di cittadinanza» anche come uno strumento di sostegno alla genitorialità. A questa politica neoliberale di attivazione al lavoro di poveri e disoccupati, vincolata al lavoro gratuito per otto ore a settimana e alla formazione obbligatoria nei centri per l’impiego e con i privati, il ministro del lavoro Luigi Di Maio ha attribuito il compito di «invertire il trend» del calo delle nascite. Sempre che entri in vigore il sistema annunciato dal governo, è invece probabile che i beneficiari del sussidio non abbiano il tempo di pensare a una vita altra, impegnati come saranno a rispettare le ingiunzioni per mantenerlo. Il cosiddetto «reddito» è stato inoltre inteso, in una nota dei senatori 5 Stelle, un «investimento sulle persone». La «crescita di cui ha bisogno l’Italia sta nel numero di figli» ha aggiunto Di Maio su Facebook. Queste considerazioni hanno come sfondo un’idea di biopolitica di stato. La natalità è infatti collegata a un’idea di «crescita» economica, non è l’espressione della libertà delle persone.

RESTA DA CAPIRE se, e in quale misura, il «reddito» andrà anche alle cittadine straniere residenti in Italia. Al momento, sembra che andrà a chi risiede in Italia da più di cinque anni. Secondo il rapporto Istat, le donne straniere hanno sostenuto nell’ultimo ventennio il «baby bust», la fase di forte calo della fecondità tra le donne italiane. Ma il loro contributo alla natalità si va lentamente riducendo.

LE ALLUSIONI propagandistiche al «reddito» confermano che anche le politiche a sostegno della maternità e della genitorialità resteranno vincolate alla condizionalità e non sono ispirate all’estensione incondizionata delle indennità di maternità, di paternità e parentale a tutte le tipologie contrattuali e non solo al lavoro subordinato e parasubordinato, e non solo in presenza di un contratto di lavoro.