Un «manifesto del dono» per un’economia futura, salvifica. Un manifesto che apparenta le cure materne ai «grandi doni della natura», acqua, aria, semi: spesso ormai assoggettati a copyright mentre, un po’ timidamente, si fa avanti la loro condivisione, frutto degli errori del passato. Geneviève Vaughan, filosofa, fondatrice della rete International feminists for a gift economy, spiega che a ben vedere siamo tutti biologicamente destinati a fare le madri. Come specie siamo homo donans e anche recipiens. Altro che Hobbes con il suo homo homini lupus: «I neonati non possono sopravvivere da soli né possono scambiare un prodotto per ottenerne un altro, devono ricevere le cure gratuitamente, come dono unilaterale da parte di qualcuno». Questo approvvigionamento materno è una «economia». Ma, appena rinunciano all’identità materna, i bambini maschi entrano nel ruolo opposto e gerarchico e da grandi «dovranno partecipare a guerre fra le nazioni». Il mercato, con il quale, pure, le donne possono uscire dalla schiavitù domestica patriarcal-capitalistica, «continua a sfruttare i doni dove può, spostando il ruolo di nutrice plurima sulle persone del Sud globale e sulla natura». Lo scambio ha bloccato il dono unilaterale e ha aperto la porta attraverso la quale i doni sono trasformati in profitto.

Per l’economia di mercato il dono è un disvalore, perché le cose donate aumentano l’offerta e abbassano la domanda e quindi il valore di scambio delle merci in vendita. Quindi ecco i doni forzati: il «dono di profitto» che è il margine di guadagno del venditore sul prezzo; e «il dono unilaterale alienato e indivisibile» che è il plusvalore. Insomma «dono e scambio di mercato sono intrecciati in un abbraccio parassitario che sembra una simbiosi».

L’economia complessiva è fatta della coesistenza e interazione con l’economia del dono e quindi è una struttura ibrida di dono e scambio; del resto la storia mostra la «complicità della donna con il patriarcato, delle madri con i padri tirannici, dei popoli, dei governi guerrafondai, degli acquirenti con la pubblicità, degli elettori con la propaganda». Davvero «il dono è labile e può convertirsi nel suo opposto, penso al profitto enorme delle compagnie farmaceutiche e al business della ricerca sul cancro».
Occorre dunque «svelare l’esistenza del dono, capire dove esiste, dove è strutturale rispetto alla vita, svalutando al tempo stesso lo scambio e i suoi corollari».