Due giorni dopo la firma di uno storico accordo tra i Talebani e gli Stati uniti, gli studenti coranici e il presidente afghano Ashraf Ghani si posizionano in vista del dialogo intra-afghano che dovrebbe iniziare il 10 marzo. Ognuno lo fa con gli strumenti a disposizione: i Talebani con la violenza, Ghani con le dichiarazioni pubbliche. Ieri i Talebani hanno ripreso le attività militari in alcune zone del Paese, annunciando di aver interrotto il periodo di tregua. Quei 7 giorni che, inaugurati il 22 febbraio, erano stati chiesti dall’inviato di Donald Trump, Zalmay Khalilzad, come prova di buona volontà degli studenti coranici.

LA TREGUA HA RETTO, i Talebani hanno dimostrato di saper controllare la catena di comando. Khalilzad e mullah Abdul Ghani Baradar, uomo della vecchia guardia talebana, hanno quindi firmato l’accordo di Doha, che prevede il ritiro delle truppe straniere dal Paese entro 14 mesi, a condizione che i Talebani si impegnino nel controterrorismo e inizino un dialogo negoziale anche con i rappresentanti del governo e della società afghana.

L’accordo di Doha consolida i Talebani, perché concede loro una patente di legittimità politica. Siederanno al tavolo negoziale da una posizione di forza. Ma i Talebani sanno che, prima del 10 marzo, possono guadagnare ulteriore terreno usando la violenza o minacciando di usarla. Contro le forze di sicurezza afghane, non contro quelle straniere.

SULLA CARTA, nulla glielo impedisce. Era previsto che la tregua durasse solo 7 giorni, già scaduti. E l’accordo con gli Usa non dice nulla sul livello di violenza accettabile in questa delicata fase post-Doha. Il generale Scott Miller, a capo delle truppe Usa e Nato in Afghanistan, ieri ha dichiarato: «Noi siamo molto rigorosi nei nostri impegni e ci aspettiamo che anche i Talebani lo siano. Gli Stati uniti sono stati molto chiari circa le aspettative. La violenza deve rimanere molto bassa». Ma nero su bianco nell’accordo non si dice nulla sulla riduzione della violenza. E i Talebani giocano su questa equivocità. Mentre il presidente Ashraf Ghani, già alle prese con la disputa post-elettorale, prova a mantenere il punto con questioni di principio e di diritto.

L’accordo tra Usa e Talebani prevede anche il rilascio, prima dell’inizio del dialogo con il governo, di 5.000 Talebani detenuti nelle carceri governative e di 1.000 ora nelle mani dei Talebani. Ma prima il consigliere per la sicurezza nazionale, Hamdullah Mohib, poi il presidente Ghani hanno detto di non volerne sapere: il rilascio può avvenire solo durante e dopo i colloqui, non come pre-condizione.

DICHIARAZIONI rivolte sì ai Talebani, per dire loro che la vittoria rivendicata sabato dopo la firma tra Khalilzad e Baradar non è affatto completa. Ma anche alla popolazione e al fronte politico interno. Al quale Ghani manda a dire che a governare e a rappresentare le istituzioni è ancora lui. E che la composizione della delegazione che parlerà con i Talebani dovrà riflettere questa posizione di forza.