Visto che il vino è stato inserito nella lista nera come prodotto dannoso per la salute si può fare riferimento all’etica quando se ne parla? È un possibile cercare di migliorare il nostro disastrato pianeta e la vita dei suoi abitanti attraverso la coltivazione dell’uva? Sono domande che tolgono il sonno a chi come me ha fatto della critica enologica e dell’organizzazione di eventi legati al vino il proprio mestiere.

Non mi sento, infatti, nella posizione di chi invita le persone a farsi del male, anzi tutto il contrario. In cima ai nostri pensieri c’è sempre il consumo attento e consapevole del vino e proprio attraverso l’educazione e l’approfondimento culturale si possono arginare problemi gravissimi come alcolismo o gli incidenti legati all’abuso di questo prodotto. E poi, siamo certi che l’allevamento della vite si possa trasformare in un’occasione per rivoluzionare la nostra agricoltura, che è responsabile di una fetta dell’inquinamento dell’ambiente e dello sfruttamento lavorativo delle persone. La transizione ecologica – termine in voga – passa attraverso un uso più accorto delle risorse a nostra disposizione e a un utilizzo meno intensivo delle sostanze chimiche. La campagna lanciata da Slow Food legata al Manifesto del vino buono, pulito e giusto punta a escludere i diserbanti chimici nelle vigne, ad abbattere l’abuso dell’acqua quando si vinifica o si medicano le viti, a evitare la costruzione di cantine faraoniche e dal pesante impatto sul paesaggio, a promuovere la regimentazione dei corsi d’acqua per evitare allagamenti e smottamenti, a fronteggiare la monocoltura piantando alberi e creando zone umide per la nidificazione degli uccelli che sono i veri antagonisti degli insetti dannosi. Questa è la rivoluzione che Slow Food vuole portare in viticoltura attraverso la creazione della Slow Wine Coalition, una rete internazionale che ha l’obiettivo di unire sotto un unico ombrello i vignaioli, i consumatori e i commercianti che vendono il vino. Solo attraverso un’alleanza virtuosa che porti avanti un’idea ben precisa sul vino si può imprimere un cambiamento su un settore nevralgico della nostra agricoltura. Ma i target non sono solo l’ambiente e il paesaggio, il cambiamento passa anche per i rapporti di lavoro tra le maestranze e gli imprenditori.
Il fenomeno del caporalato macchia anche la viticoltura, è nostro compito quello di sottolineare quanto sia importante lavorare a stretto contatto con i produttori per eliminare questa piaga e per far sì che i braccianti, spesso stranieri, siano valorizzati e integrati nel processo di produzione del vino e nelle comunità in cui hanno deciso di abitare.

Molte volte le cantine operano in territori che con disprezzo gli economisti hanno definito come marginali, e grazie a loro molti dei comuni dei nostri Appennini non sono spopolati e abbandonati. Il vino può rivelarsi occasione di riscatto, di crescita sia economica sia culturale, ma solo e soltanto se quando immergiamo il nostro naso nel bicchiere pensiamo a tutte queste tematiche.

Tematiche che saranno al centro della Slow Wine Fair, una vera e propria Terra Madre del vino che Slow Food organizzerà a Bologna dal 27 al 29 marzo prossimi. 542 cantine, di cui 63 estere, provenienti da 19 paesi differenti. Un’occasione unica per conoscere aziende mosse dalla stessa filosofia produttiva e che credono che attraverso il vino si possa cambiare la nostra realtà quotidiana.